Il cielo stellato ha da sempre esercitato sull'umanità un fascino irresistibile, un profondo senso di mistero per una parte della Natura totalmente preclusa all'azione diretta dell'uomo, che si manifesta con cicli regolari, apparentemente inspiegabili, talvolta con eventi improvvisi e terribilmente eclatanti, quali le eclissi e l'apparizione delle comete.
Tutte le popolazioni umane che hanno vissuto su questo pianeta hanno avuto familiarità con il cielo e con gli oggetti celesti visibili a occhio nudo. Questa è una riflessione non banale: oggi chiunque può avere idea di come siano fatti il mare, una catena montuosa, un deserto o una foresta, semplicemente vedendo delle immagini prese da un libro, dalla televisione o da internet, se non addirittura recandosi di persona e con molta facilità laddove questi si trovino. Ma supponiamo di essere dei polinesiani vissuti secoli fa: come potevamo immaginarci una catena montuosa o un ghiacciaio, oppure ancora la neve? E ancora, mettiamoci nei panni dei pastori della Mongolia o delle steppe asiatiche, anch'essi vissuti in un passato sufficientemente remoto da essere estranei a tecnologia e informazione: come potevano anche solo concepire l'idea di un oceano? Gli esempi possono essere infiniti. Ebbene, nonostante queste persone possano non avere avuto piena comprensione di un qualche elemento naturale, benché vasto, proprio del nostro pianeta, certamente tutte, tutte quelle che hanno vissuto abbastanza a lungo per sviluppare la comprensione dell'ambiente che li circonda, hanno perfettamente idea di cosa sia il sole, la luna, una stella. Il polinesiano di centinaia di anni fa non avrà saputo cosa fosse il ghiaccio o la neve, ma sapeva cosa fosse la luna piena, esattamente come il pastore asiatico suo coevo, che a sua volta non avrà avuto idea di cosa fosse il mare, e così via.
Se pertanto il cielo costituisce una realtà così pervadente, quella “metà del panorama” misteriosa e ineffabile per l'umanità intera, è stato logico che esso sia divenuto, in moltissimi casi, l'elemento prediletto dove proiettare la spiritualità propria dell'essere umano, e dove cercare le risposte a quelle domande anche angosciose che inevitabilmente l'uomo si pone. Il cielo diviene un luogo, se non il luogo, che ospita il divino, le anime dopo la morte, il soprannaturale. Il moto misterioso e regolare dei corpi celesti è servito anzitutto per scandire lo scorrere del tempo – si pensi alla durata della settimana e del mese, intimamente legati al ciclo delle fasi lunari, per non parlare della durata dell'anno – ma anche per tentare di individuare presunti influssi che gli astri esercitano sulla vita di ognuno di noi, logica irrazionale che purtroppo ancora oggi resiste.
Notte stellata sul Rodano, Vincent van Gogh, 1888; credit: it.wikipedia.org
Nello stesso solco non poteva non comparire l'arte: se la intendiamo come “espressione artistica dell'animo umano”, il cielo ha necessariamente costituito un soggetto ispiratore di primaria importanza per tutti coloro che hanno voluto dare sfogo alla propria “espressione artistica”, oppure alla propria inquietudine, spesso mescolata quando alla scienza, quando alla spiritualità, sempre che una netta distinzione tra questi due ambiti fosse esistente. Le opere d'arte che hanno avuto un'ispirazione “celeste”, per così dire, sono innumerevoli, abbracciano numerosissime culture e un periodo di tempo plurimillenario. E non si parla solo di arti figurative, ovvero di immagini, ma anche di opere letterarie, musicali, architettoniche. È superfluo ribadire come il nostro Paese sia ricchissimo di queste testimonianze sul connubio tra astronomia e arte, che chiamano in causa artisti di primaria importanza quali Giotto, Dante, Leopardi, oppure ancora siti iscritti al Patrimonio Mondiale Unesco, come Piazza dei Miracoli a Pisa o il complesso delle architetture paleocristiane di Ravenna.
Pisa, Piazza dei Miracoli; credit: it.wikipedia.org |
In questo mio primo articolo del blog, desidero tuttavia trattare un aspetto molto singolare, legato a quei corpi celesti misteriosi ed imprevedibili che periodicamente si manifestano e ci affascinano: le comete. Si dà il caso, infatti, che una particolare cometa, la Halley, sia stata rappresentata almeno due volte nel Medioevo e, curiosamente, dandole interpretazioni completamente opposte.
La raffigurazione più conosciuta, perlomeno per noi italiani, è quella che ne fa Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, nella scena raffigurante l'Adorazione dei Magi. Nel Vangelo secondo Matteo, infatti, i tre Re Magi sarebbero stati condotti a Betlemme dall'apparizione di una stella, che la tradizione ha poi interpretato in una cometa, e che si è talmente radicata nella cultura popolare da renderla un elemento imprescindibile, ancora oggi, nell'allestimento di un Presepe. La particolarità della cometa giottesca consiste nella rappresentazione molto veritiera di quest'astro: una “palla” che richiama la chioma seguita da una lunga coda; solo il colore marcatamente rossiccio è da considerarsi “bizzarro”, ma per il resto la forma della cometa è perfettamente riconoscibile, e decisamente più realistica rispetto ad altri tipi di raffigurazioni dell'epoca, nelle quali si dava più enfasi al significato teologico rispetto a quello naturale, per esempio illustrando la stella stessa con tre punte per richiamare la Trinità.
L'Adorazione dei Magi – Giotto, 1305, Cappella degli Scrovegni (Padova), con, sotto, particolare; credit: it.wikipedia.org |
Come mai Giotto dipinse una cometa che sembra davvero una cometa? L'Adorazione dei Magi fu realizzata tra il 1303 e il 1305 circa, quindi pochissimi anni dopo l'apparizione della cometa di Halley che ebbe luogo nel 1301, della quale il pittore fiorentino fu certamente testimone e probabilmente ne trasse ispirazione. È curioso notare come un artista medievale, che stava abbellendo una cappella con un ciclo di affreschi a tema religioso, abbia deciso di rappresentare un elemento astronomico così come veramente appare, tralasciando invece un'iconografia più squisitamente teologica.
La stessa cometa fu tuttavia rappresentata oltre due secoli prima in circostanze molto diverse: essa apparve nel 1066, nell'anno della conquista dell'Inghilterra da parte dei Normanni, ed è stata poi raffigurata nel celebre Arazzo di Bayeux una ventina di anni più tardi. Siamo sicuri che si tratti della stessa cometa che vide Giotto perché, come dimostrò Edmund Halley agli inizi del Settecento – e per questo ne prese il nome – trattasi di una cometa periodica con periodo di circa 78 anni; andando a ritroso nel tempo, troviamo le apparizioni del 1301 e del 1066, con caratteristiche tali da far supporre con ragionevole certezza che si stia parlando del solito corpo celeste. Nell'arazzo la cometa è raffigurata in un modo piuttosto simile a quanto fece Giotto, ovvero una “stella” con una coda; come è possibile notare dalla figura, essa è osservata da alcuni uomini (“isti mirant stella”), che la indicano e si guardano l'un l'altro con occhi pieni di palese preoccupazione: questi uomini sono Anglosassoni, ovvero coloro che da lì a pochi mesi perderanno la guerra con i Normanni, che si concluse con la celebre Battaglia di Hastings del 14 ottobre 1066, nella quale il Re anglosassone Harold fu ucciso e Guglielo il Conquistatore divenne, in seguito, Re d'Inghilterra.
La cometa di Halley nell'Arazzo di Bayeux, con particolari; credit: it.wikipedia.org |
Stefano Caverni
Commenti
Posta un commento