Esse si accendevano nel cielo agli albori delle prime civiltà e si accendono oggi, purtroppo alcune non riusciamo più a vederle ad occhio nudo a causa dell’inquinamento luminoso, ma come gli astri sapevano accendere la fantasia dei primi ominidi, possono ancora aprire in noi, le porte a fantastiche visioni.
Prima di iniziare, però, voglio darvi alcune informazioni: quando Tolomeo inserì questa costellazione nella sua raccolta, chiamò la stella più brillante con il nome di “Lyra” in onore alle sue origini greche. Gli arabi la chiamarono “alnasr al-waki”, cioè “aquila che attacca” o “avvoltoio” poiché vedevano in essa un’aquila pronta a brandire in picchiata una lira, a differenza dell’aquila nella costellazione vicina che si presenta con le ali spiegate. Successivamente la seconda parte della parola araba ha dato vita al nome Wega e poi Vega.
Una leggenda di ben 2000 anni fa appartiene
alla cultura cinese e giapponese, dove questa costellazione è legata a quella
dell’Aquila nella cui stella Altair vedevano un pastore (Hikoboshi), mentre
nella stella Vega vedevano una tessitrice (Horihime). I due si innamorarono,
venendo meno ai loro compiti celesti, cioè aver cura del gregge e tessere vesti
per gli dèi: perciò le divinità li punirono costringendoli a stare sulle parti
opposte della Via Lattea (nella loro cultura il fiume Ama no Gawa) in modo che
non potessero più incontrarsi se non una volta all’anno; la settima notte della
settima Luna quando le gazze migrano e creano un ponte tra le due
costellazioni, permettendo ai due amanti di vivere insieme per un breve istante,
ma non è questa la meravigliosa storia di cui vi ho parlato, pazientate ancora
un istante e continuate la lettura!
Eratostene narra che più tardi, Apollo consegnò la lira ad Orfeo (nato dalla sua unione con la ninfa Calliope), il più grande musicista del suo tempo. Diverse furono le imprese alle quali partecipò: una fu unirsi agli Argonauti nella ricerca del vello d’oro e quando essi passarono vicino all’isola delle Sirene, note per aver ucciso molti marinai con i loro canti, egli le sfidò intonando un controcanto che coprì le loro voci, salvando così la vita ai suoi compagni.
Ma arriviamo ora alla nostra storia da mille e
una notte……
Con l’aiuto di quella lira, Orfeo era capace
di incantare ogni essere vivente e non della Terra.
Infatti, si dice che il suono armonioso che
emanava da quello strumento, fosse capace di incantare le pietre, i fiumi e
perfino gli alberi riuscivano a sradicarsi dai monti per seguire quell’armonia
di suoni fino alle coste della Tracia. Ma
la sua magica arte non poteva comunque tenerlo al riparo dalla forza dirompente
dell’Amore che, almeno una volta nella vita bussa alle porte del cuore di
ognuno di noi dandoci quel coraggio che ci fa affrontare qualsiasi pericolo in
suo nome. Un giorno Orfeo si addentrò
nei fitti boschi popolati dalle Muse (custodi delle Arti e delle Scienze)
suonando la sua lira ed attirando intorno a sé animali feroci e no, così che si
poteva vedere il lupo e l’agnello che sedevano vicino pacifici. Ad un tratto,
facendosi strada tra le grandi foglie della selvaggia vegetazione che cresceva
inviolata da mani umane, gli apparve davanti agli occhi una celestiale visione:
una fanciulla la cui bellezza quasi riusciva a sminuire la soave armonia che
fuoriusciva dalle corde vibranti di quel magico strumento. Il suo nome era
Euridice ed apparteneva al regno delle Ninfe. Anche ella rimase incantata da
quella lira e del suo musicista si innamorò. I due si sposarono, ma la bellezza
di Euridice non poteva essere ignorata e finì per divenire la sua condanna. Un
giorno ella fu inseguita da Aristeo, un figlio di Apollo, per possederla (la
solita storia tra maschi e femmine) e mentre sfuggiva nel bosco, correndo,
inciampò su di un sasso e cadde. La sorte volle che vicino a lei si trovasse un
serpente, il quale la morse a morte relegando così la sua anima nel mondo degli
inferi, dove Ade (Plutone per i latini) regnava con la sua triste sposa
Persefone (Proserpina per i latini), un tempo gaia e rapita prematuramente alla
vita terrena come la sfortunata Euridice. Improvvisamente il vento accolse il
lamentoso pianto delle ninfe e lo portò fino all’orecchio di Orfeo che,
abbandonata la sua musica, si precipitò a cercare la sua sposa. Giunto innanzi
a lei, vide il suo corpo giacere sulla fredda terra privo di vita e fu in quel
preciso istante che decise di tentare ciò che non era mai stato fatto in
precedenza, un’impresa senza uguali: discendere negli inferi e riprendersi
quello che gli era indispensabile come l’ossigeno: la sua Euridice. (Qui vorrei
chiedere alle nostre lettrici quante volte nella vita abbiano desiderato che il
loro innamorato compisse un’impresa, una prova d’amore grandiosa!!)
“Ahimè
Orfeo,
chi
ci ha perduti,
quale
follia?
Senza
pietà il destino indietro mi richiama
ed
un sonno vela di morte i miei occhi smarriti.
Ed
ora addio: intorno una notte fonda mi assorbe
e
a te, non più tua, inerti tendo le mani.”
Orfeo si lanciò impavido nelle tenebre, ma
questa volta Caronte gli negò il traghetto.
Tutto era stato vano.
Secondo la versione di Eratostene invece,
Orfeo provocò le ire di Dioniso per non aver compiuto sacrifici in suo onore e
allora il dio mandò i maniaci suoi seguaci a farlo a pezzi. Comunque siano
andate le cose, alla fine i due amanti si ricongiunsero.
Per scelta non ho voluto commentare troppo il racconto per far sì che ognuno di voi si gustasse nel proprio immaginario questa storia che ritengo sia una tra le più belle del cielo e proprio per questo le varie forme di Arte non potevano sottrarsi dal far vivere questa narrazione sottoforma di vasi antichi, dipinti, sculture, poemi e opere musicali. Come non lasciarsi trasportare dalle struggenti arie di “Orfeo e Euridice” di Christoph Willibald Gluck, ma anche di Monteverdi, Haydn, Offenbach che, insieme ad altri artisti come Virgilio, Ovidio, Canova, Tiziano, Moreau, Chagal, Monet, P.P.Rubens vollero che queste leggende vivessero per sempre nei cuori di tutti i popoli della Terra.
Silvia Fiumalbi
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