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A ZONZO PER IL filmAMENTO - Agora

Non so se vi sia mai capitato di vedere un film, arrivare ai titoli di coda e rimanere in un limbo di sensazioni contrastanti. Di non saper definire se il film vi sia effettivamente piaciuto o no, di doverci pensare su per qualche giorno per capire fino in fondo alcune scelte della regia, per analizzare nella vostra testa alcune inquadrature e il motivo della scelta di qualche passaggio particolare tra varie scene.

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Ecco, questa è la sensazione che mi ha lasciato la visione del film Agora  di Alejandro Amenabar, liberamente ispirato al libro di Adriano Petta e Antonino Colavito Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo.

Il film di genere storico, biografico, parla, come avrete intuito, di Ipazia, matematica, astronoma e filosofa greca, figlia del matematico Teone, a capo della scuola neoplatonica di Alessandria.

La pellicola del 2009 inizia subito presentandoci la protagonista come una donna libera, indipendente, dotata di una mente brillante e capace di trasmettere le sue conoscenze con facilità e passione. Davanti a lei una classe totalmente maschile che però, a discapito dei tempi storici, la ascolta rapita e ammirata, quasi venerandola come fonte inesauribile di conoscenza. “… non era motivo di vergogna per lei stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale.” Dice Socrate Scolastico, teologo e storico romano del IV secolo.

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È lei stessa, di contro, a mettersi in discussione continuamente, a dubitare delle sue conoscenze e delle teorie più accreditate all’epoca, sui moti celesti in primis. Nonostante le nostre credenze attuali, derivate dal Medioevo, all’epoca le teorie di Tolomeo erano considerate come una valida ipotesi matematica che spiegava le osservazioni visive, ma non una definitiva soluzione ai moti celesti. Ad Alessandria si cercava e si studiava ancora una teoria che spiegasse in modo accurato il moto delle “stelle erranti” che non prevedesse però sistemi complessi come gli epicicli.

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Ipazia, interpretata magistralmente da Rachel Weisz, ci viene presentata nel film come una di questi studiosi, forse anche troppo presa da questa ricerca che l’accompagnerà per tutta la vita, impedendole di avere legami stabili, rinuncerà più volte a vari spasimanti per poter proseguire i suoi studi e le sue ricerche. Nella realtà Ipazia ha fatto studi filosofici, di dialettica, sicuramente anche di astronomia, sono documentati astrolabi e idrometri progettati e costruiti da lei, ma soprattutto matematici, sulle sezioni coniche in particolare. Non sappiamo se abbia effettivamente studiato i moti celesti come ci racconta il film, ma il regista è stato sicuramente molto bravo nel presupporre un epifania della protagonista a partire proprio dalle sezioni coniche e dal cono di Apollonio in possesso di Ipazia.

Quello che sappiamo storicamente è che la protagonista non si limitava a insegnare nella sua scuola, ma che usciva per strada e istruiva chiunque fosse disposto ad ascoltarla, parlava di Platone, di Aristotele alla folla, delle nuove teorie e delle ultime scoperte. Perché? In film storici, come questo, non dobbiamo mai perdere di vista il contesto in cui i vari personaggi stanno operando.

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Siamo nel IV secolo d.C. L’impero romano si stava dividendo in due parti, Costantino aveva dato libertà di culto ai cristiani, prima perseguitati, Teodosio rese il cristianesimo addirittura religione di Stato. Ipazia, figlia della cultura pagana, si trova catapultata in un mondo in cambiamento. La presenza dei cristiani aumenta sempre più. Questo nuovo credo religioso attira maggiormente i più poveri nella società, promesse di uguaglianza, l’aiuto alle persone più affamate o malate fanno si che il ceto più povero inizi a convertirsi. Nel film questo passaggio storico viene condensato in pochi minuti, forzandolo un po’  a mio avviso, ma sicuramente rendendo bene l’idea di cosa promettesse la nuova religione, e la differenza con il trattamento che i ricchi pagani riservavano ai loro schiavi o ai poveri. Il passaggio viene reso sullo schermo con la conversione di Davo, schiavo di Ipazia, da sempre infatuato di lei, ragazzo curioso e con la voglia di imparare, unico personaggio non realmente esistito ma inventato nel film. Davo è sempre alla ricerca di qualcosa, dell’attenzione di Ipazia, della sua approvazione, tanto da ascoltare le sue lezioni e costruire dei modellini in legno in autonomia, dall’altra parte è legato alla sua condizione di schiavo e quindi alla ricerca di un’identità e della libertà stessa. In effetti cambia idea e “fazione” più volte nel corso della prima parte del film, passa dalla fedeltà assoluta a Ipazia dopo le lodi della sua padrona, alla conversione al cristianesimo quando lei si rivolge nuovamente a lui come suo schiavo. Davo si converte non perché crede in quel nuovo Dio di cui tutti parlano, infatti continuerà a farsi domande per tutta la durata del film, ma perché spera di trovare finalmente la libertà che tanto desidera, l’uguaglianza e la considerazione che crede di meritare. In realtà non sarà mai libero veramente, cambierà solo “padrone”, ci sarà sempre qualcuno che gli dirà cosa fare, come pensare e alla fine, e forse nel modo più amaro per lui, capirà che la libertà non l’ha mai raggiunta veramente.

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In questo periodo storico i decreti dell’imperatore Teodosio proibivano il culto pagano e decretavano la distruzione dei loro templi, il vescovo Teofilo si preoccupò di mettere in pratica queste leggi alla lettera ad Alessandria, operando una vera e propria distruzione culturale, in quanto nei templi erano conservati anche i più importanti scritti dell’epoca. I cristiani da perseguitati passano dalla parte dei perseguitanti, prima verso i pagani, poi verso gli ebrei. Ipazia, nota per essere tollerante verso questi primi cristiani, suo allievo sarà per esempio Sinesio di Cirene, poi vescovo di Tolemaide, con il quale rimarrà in buoni rapporti fino alla fine della sua vita, teme però la distruzione delle conoscenze che il mondo pagano ha elaborato. Per questo lei si oppone alla decadenza del suo mondo, per questo cerca di ribellarsi nel modo che le riesce meglio, andando a trasmettere quelle conoscenze che i cristiani vogliono cancellare, direttamente al popolo.

Il culmine del conflitto si ha sicuramente quando i pagani iniziano ad opporsi alla distruzione del tempio più antico e prestigioso di Alessandria, quello dedicato a Giove Serapide. Finiscono per occupare il tempio assediati dai tantissimi cristiani, che però ricevono l’appoggio dell’imperatore e quindi riescono ad occuparlo a loro volta e distruggerlo quasi completamente. Per dovere di cronaca dobbiamo dire che, nonostante questi avvenimenti siano storicamente documentati, nessuno ha la certezza che effettivamente Ipazia ne abbia preso parte, ma qualche espediente cinematografico si perdona sempre, se è per questo all’epoca dei fatti la nostra protagonista avrebbe dovuto avere circa 60 anni, non certo essere una giovane donna in età da marito.

Contemporaneamente muore il vecchio vescovo Teofilo e un nuovo vescovo prende il suo posto, Cirillo. Quest’ultimo è sicuramente più radicale del suo predecessore, gli scontri con i pagani e con gli ebrei diventano sempre più cruenti. Inizia a circondarsi dei parabolani, gruppi di cristiani che dovrebbero essere nati con lo scopo di fare da infermieri ma che in realtà iniziano a svolgere il ruolo di corpo di polizia nelle strade della città al servizio del vescovo, iniziano ad attaccare anche le varie istituzioni politiche di Alessandria, principalmente nella figura di Oreste.

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Oreste storicamente era il prefetto d’Egitto, cristiano, ma sembra fosse tollerante anche nei confronti delle altre religioni, vedendoli più come cittadini di Alessandria che come appartenenti alle varie fazioni religiose.

Nel film ci viene presentato come allievo di Ipazia e da sempre innamorato di lei, tanto da proporsi più volte ma invano. Non è documentato che effettivamente lo fosse, ma sicuramente sappiamo che era molto legato a lei. Sappiamo da fonti storiche che si consigliava spesso con lei sulle decisioni politiche da prendere e che teneva in gran considerazione il suo giudizio.  “…i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei (Ipazia)…” ci suggerisce Damascio, filosofo bizantino del V sec. La causa della fine prematura della nostra protagonista è da ricercare principalmente nel legame con quest’uomo, oltre, come già detto, alle sue idee da scienziata.

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Quello che sappiamo infatti è che Cirillo non si accontentava più del solo potere spirituale ma desiderava sempre più espandersi anche in quello temporale e Oreste gli era d’intralcio. Ma Oreste era cristiano come lui, non poteva quindi semplicemente perseguitarlo come aveva fatto con pagani ed ebrei. Doveva trovare un altro appiglio, e lo ha trovato in Ipazia e nel suo essere donna. “s’incontrava alquanto di frequente con Oreste, l’invidia mise in giro una calunnia su di lei… e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il vescovo” (Socrate Scolastico). Si iniziò a spargere voce che Ipazia fomentava Oreste contro Cirillo e che lui fosse succube di questa donna, che iniziò ad essere chiamata strega, inoltre le sacre scritture dicevano chiaramente che le donne erano inferiori agli uomini e che dovevano essere considerate alla stregua degli schiavi. Era la parola di Dio e non rispettarla avrebbe gettato Oreste in pasto ai cristiani sempre più numerosi e sempre più fanatici.

Era il 415 d.C. quando un gruppo di parabolani catturò, uccise e fece a pezzi il corpo della nostra protagonista. Simbolo del termine di un epoca forse, di una conoscenza che sarebbe andata perduta, simbolo dell’oscurantismo delle varie religioni che da sempre hanno ritardato e ostacolato l’evoluzione scientifica. Simbolo della scienza stessa, che imperterrita continua sulla sua strada, solo spettatrice degli eventi storici che le avvengono intorno, mai credendo in qualcosa con sicurezza ma sempre mettendosi in dubbio, sempre evolvendosi e imparando dai propri errori.

E infatti non sembra Ipazia, ma la personificazione della Scienza a parlare, quando dice: “Voi non potete mettere in discussione quello in cui credete, io devo.”

La dicotomia tra eventi sulla Terra e l’universo che continua inesorabile nella sua linea spazio-temporale, incurante di quello che accade in un angolino di un piccolo pianeta, ai confini di una galassia di media grandezza, nell’infinito cosmico, è ricreata con un espediente atipico nel mondo cinematografico direi.

Più o meno improvvisamente, più volte durante il film,  l’inquadratura inizia ad allargarsi, sempre più, fino ad arrivare nello spazio, dove il silenzio, il buio e un pianeta più o meno illuminato dominano lo schermo. Sicuramente gli avvenimenti, i conflitti, i personaggi ne vengono inesorabilmente ridimensionati. Come certamente voluto è il senso di disorientamento che provoca il primo di questi “allontanamenti”, staccato dal resto, ti fa riemergere dalla storia, per poi di colpo farti reimmergere nel quotidiano, nelle vicende amorose, nei conflitti religiosi, ma con qualche domanda in più sul senso di tutto quello che stiamo vedendo. Appena il cervello si assuefà di nuovo alla storia e ai suoi protagonisti, ecco che il regista di nuovo propone un rovescio dell’inquadratura. Mentre il tempio viene distrutto, viene distrutta un’intera epoca, e la visione del mondo si rivoluzionerà, proprio come la telecamera e lo schermo. Cambia una prospettiva di un’epoca ma anche quella dello spettatore a casa.

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Dopo poco più di 120 minuti ci ritroviamo a sperare in un finale diverso per la nostra protagonista, anche se sappiamo che i minuti scorrono inesorabili, e che il finale possibile è solo uno. Con la morte di Ipazia si chiude un cerchio (anzi un ellisse ;D) su un epoca. E la frase che ti rimbomba in testa è anche quella che come un filo rosso percorre tutto il film:

Sono più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono”.

E la possiamo applicare ai più svariati contesti rendendola sempre vera e attuale. Sia che la pensiamo riferita alle religioni, sia alla provenienza dei vari popoli, sia a noi esseri del ventunesimo secolo che ci emozioniamo ancora per la storia di una matematica, astronoma e filosofa greca del quarto secolo.

Silvia Gingillo

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