Non so se vi sia mai capitato di vedere un film, arrivare ai titoli di coda e rimanere in un limbo di sensazioni contrastanti. Di non saper definire se il film vi sia effettivamente piaciuto o no, di doverci pensare su per qualche giorno per capire fino in fondo alcune scelte della regia, per analizzare nella vostra testa alcune inquadrature e il motivo della scelta di qualche passaggio particolare tra varie scene.
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Il
film di genere storico, biografico,
parla, come avrete intuito, di Ipazia, matematica, astronoma e filosofa greca,
figlia del matematico Teone, a capo della scuola neoplatonica di Alessandria.
La pellicola del 2009 inizia subito presentandoci la protagonista come una donna libera, indipendente, dotata di una mente brillante e capace di trasmettere le sue conoscenze con facilità e passione. Davanti a lei una classe totalmente maschile che però, a discapito dei tempi storici, la ascolta rapita e ammirata, quasi venerandola come fonte inesauribile di conoscenza. “… non era motivo di vergogna per lei stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale.” Dice Socrate Scolastico, teologo e storico romano del IV secolo.
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Quello
che sappiamo storicamente è che la protagonista non si limitava a insegnare
nella sua scuola, ma che usciva per strada e istruiva chiunque fosse disposto
ad ascoltarla, parlava di Platone, di Aristotele alla folla, delle nuove teorie
e delle ultime scoperte. Perché? In film storici, come questo, non dobbiamo mai
perdere di vista il contesto in cui i vari personaggi stanno operando.
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Siamo nel IV secolo d.C. L’impero romano si stava dividendo in due parti, Costantino aveva dato libertà di culto ai cristiani, prima perseguitati, Teodosio rese il cristianesimo addirittura religione di Stato. Ipazia, figlia della cultura pagana, si trova catapultata in un mondo in cambiamento. La presenza dei cristiani aumenta sempre più. Questo nuovo credo religioso attira maggiormente i più poveri nella società, promesse di uguaglianza, l’aiuto alle persone più affamate o malate fanno si che il ceto più povero inizi a convertirsi. Nel film questo passaggio storico viene condensato in pochi minuti, forzandolo un po’ a mio avviso, ma sicuramente rendendo bene l’idea di cosa promettesse la nuova religione, e la differenza con il trattamento che i ricchi pagani riservavano ai loro schiavi o ai poveri. Il passaggio viene reso sullo schermo con la conversione di Davo, schiavo di Ipazia, da sempre infatuato di lei, ragazzo curioso e con la voglia di imparare, unico personaggio non realmente esistito ma inventato nel film. Davo è sempre alla ricerca di qualcosa, dell’attenzione di Ipazia, della sua approvazione, tanto da ascoltare le sue lezioni e costruire dei modellini in legno in autonomia, dall’altra parte è legato alla sua condizione di schiavo e quindi alla ricerca di un’identità e della libertà stessa. In effetti cambia idea e “fazione” più volte nel corso della prima parte del film, passa dalla fedeltà assoluta a Ipazia dopo le lodi della sua padrona, alla conversione al cristianesimo quando lei si rivolge nuovamente a lui come suo schiavo. Davo si converte non perché crede in quel nuovo Dio di cui tutti parlano, infatti continuerà a farsi domande per tutta la durata del film, ma perché spera di trovare finalmente la libertà che tanto desidera, l’uguaglianza e la considerazione che crede di meritare. In realtà non sarà mai libero veramente, cambierà solo “padrone”, ci sarà sempre qualcuno che gli dirà cosa fare, come pensare e alla fine, e forse nel modo più amaro per lui, capirà che la libertà non l’ha mai raggiunta veramente.
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In
questo periodo storico i decreti dell’imperatore Teodosio proibivano il culto
pagano e decretavano la distruzione dei loro templi, il vescovo Teofilo si
preoccupò di mettere in pratica queste leggi alla lettera ad Alessandria,
operando una vera e propria distruzione culturale, in quanto nei templi erano
conservati anche i più importanti scritti dell’epoca. I cristiani da
perseguitati passano dalla parte dei perseguitanti, prima verso i pagani, poi
verso gli ebrei. Ipazia, nota per essere tollerante verso questi primi
cristiani, suo allievo sarà per esempio Sinesio di Cirene, poi vescovo di
Tolemaide, con il quale rimarrà in buoni rapporti fino alla fine della sua
vita, teme però la distruzione delle conoscenze che il mondo pagano ha
elaborato. Per questo lei si oppone alla decadenza del suo mondo, per questo
cerca di ribellarsi nel modo che le riesce meglio, andando a trasmettere quelle
conoscenze che i cristiani vogliono cancellare, direttamente al popolo.
Il
culmine del conflitto si ha sicuramente quando i pagani iniziano ad opporsi
alla distruzione del tempio più antico e prestigioso di Alessandria, quello
dedicato a Giove Serapide. Finiscono per occupare il tempio assediati dai
tantissimi cristiani, che però ricevono l’appoggio dell’imperatore e quindi
riescono ad occuparlo a loro volta e distruggerlo quasi completamente. Per
dovere di cronaca dobbiamo dire che, nonostante questi avvenimenti siano
storicamente documentati, nessuno ha la certezza che effettivamente Ipazia ne
abbia preso parte, ma qualche espediente cinematografico si perdona sempre, se
è per questo all’epoca dei fatti la nostra protagonista avrebbe dovuto avere
circa 60 anni, non certo essere una giovane donna in età da marito.
Contemporaneamente
muore il vecchio vescovo Teofilo e un nuovo vescovo prende il suo posto,
Cirillo. Quest’ultimo è sicuramente più radicale del suo predecessore, gli
scontri con i pagani e con gli ebrei diventano sempre più cruenti. Inizia a
circondarsi dei parabolani, gruppi di cristiani che dovrebbero essere nati con
lo scopo di fare da infermieri ma che in realtà iniziano a svolgere il ruolo di
corpo di polizia nelle strade della città al servizio del vescovo, iniziano ad
attaccare anche le varie istituzioni politiche di Alessandria, principalmente
nella figura di Oreste.
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Oreste
storicamente era il prefetto d’Egitto, cristiano, ma sembra fosse tollerante
anche nei confronti delle altre religioni, vedendoli più come cittadini di
Alessandria che come appartenenti alle varie fazioni religiose.
Nel
film ci viene presentato come allievo di Ipazia e da sempre innamorato di lei,
tanto da proporsi più volte ma invano. Non è documentato che effettivamente lo
fosse, ma sicuramente sappiamo che era molto legato a lei. Sappiamo da fonti
storiche che si consigliava spesso con lei sulle decisioni politiche da prendere
e che teneva in gran considerazione il suo giudizio. “…i
capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano
soliti recarsi prima da lei (Ipazia)…” ci suggerisce Damascio, filosofo
bizantino del V sec. La causa della fine prematura della nostra protagonista è
da ricercare principalmente nel legame con quest’uomo, oltre, come già detto,
alle sue idee da scienziata.
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Era
il 415 d.C. quando un gruppo di parabolani catturò, uccise e fece a pezzi il
corpo della nostra protagonista. Simbolo del termine di un epoca forse, di una
conoscenza che sarebbe andata perduta, simbolo dell’oscurantismo delle varie
religioni che da sempre hanno ritardato e ostacolato l’evoluzione scientifica.
Simbolo della scienza stessa, che imperterrita continua sulla sua strada, solo
spettatrice degli eventi storici che le avvengono intorno, mai credendo in
qualcosa con sicurezza ma sempre mettendosi in dubbio, sempre evolvendosi e
imparando dai propri errori.
E
infatti non sembra Ipazia, ma la personificazione della Scienza a parlare,
quando dice: “Voi non potete mettere in
discussione quello in cui credete, io devo.”
La
dicotomia tra eventi sulla Terra e l’universo che continua inesorabile nella
sua linea spazio-temporale, incurante di quello che accade in un angolino di un
piccolo pianeta, ai confini di una galassia di media grandezza, nell’infinito
cosmico, è ricreata con un espediente atipico nel mondo cinematografico direi.
Più
o meno improvvisamente, più volte durante il film, l’inquadratura inizia ad allargarsi, sempre più,
fino ad arrivare nello spazio, dove il silenzio, il buio e un pianeta più o
meno illuminato dominano lo schermo. Sicuramente gli avvenimenti, i conflitti,
i personaggi ne vengono inesorabilmente ridimensionati. Come certamente voluto
è il senso di disorientamento che provoca il primo di questi “allontanamenti”,
staccato dal resto, ti fa riemergere dalla storia, per poi di colpo farti
reimmergere nel quotidiano, nelle vicende amorose, nei conflitti religiosi, ma
con qualche domanda in più sul senso di tutto quello che stiamo vedendo. Appena
il cervello si assuefà di nuovo alla storia e ai suoi protagonisti, ecco che il
regista di nuovo propone un rovescio dell’inquadratura. Mentre il tempio viene
distrutto, viene distrutta un’intera epoca, e la visione del mondo si
rivoluzionerà, proprio come la telecamera e lo schermo. Cambia una prospettiva
di un’epoca ma anche quella dello spettatore a casa.
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Dopo
poco più di 120 minuti ci ritroviamo a sperare in un finale diverso per la
nostra protagonista, anche se sappiamo che i minuti scorrono inesorabili, e che
il finale possibile è solo uno. Con la morte di Ipazia si chiude un cerchio
(anzi un ellisse ;D) su un epoca. E la frase che ti rimbomba in testa è anche
quella che come un filo rosso percorre tutto il film:
“Sono più le cose che ci uniscono che quelle
che ci dividono”.
E
la possiamo applicare ai più svariati contesti rendendola sempre vera e
attuale. Sia che la pensiamo riferita alle religioni, sia alla provenienza dei
vari popoli, sia a noi esseri del ventunesimo secolo che ci emozioniamo ancora
per la storia di una matematica, astronoma e filosofa greca del quarto secolo.
Silvia
Gingillo
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