Passa ai contenuti principali

COSA TI COMBINO A NON DORMIR LA NOTTE - Claudio Tolomeo

L’Astronomia, attraverso i personaggi, noti o meno, che l’hanno fatta e il loro tempo

 Claudio Tolomeo (Pelusio, 100 d.C. circa – Rodi,  168/170 d.C. circa) 

Il personaggio di questo articolo rientra a pieno nella categoria dei “noti”, e, come scritto alla fine del precedente articolo, considerato da alcuni, il principale astronomo dei tempi antichi, anche se, come scopriremo più avanti, questa posizione è stata un po’ ultimamente rivalutata e rivista.

Faremo un salto di oltre due secoli dal nostro ultimo personaggio, Ipparco di Nicea.

Delta del Nilo ai tempi di Tolomeo. Crediti: Wikipedia

Nonostante l’enorme importanza della sua principale opera nella storia dell’astronomia e nella scienza in generale, di Claudio Tolomeo non si sa quasi niente e quel poco che sappiamo è per la maggior parte deducibile dalle sue opere ed avendo esse stesse una cronologia tutt’altro che certa, capiamo bene la difficoltà nel ricostruire la sua vita. Neanche il suo luogo di nascita è certo, alcuni dicono sia nato ad Alessandria d’Egitto, altri a Pelusio, una città posta all’estremo est del delta del Nilo.

Si stima che Tolomeo sia vissuto tra il 100 d.C. e il 168-170 d.C., principalmente  sulla base delle osservazioni astronomiche che Tolomeo, nell’Almagesto, afferma di aver compiuto personalmente: la prima è un’opposizione di Saturno risalente al 127 d.C., l’ultima è una massima elongazione di Mercurio del 141 d.C. Tutte queste osservazioni sono state fatte ad Alessandria d’Egitto, che nel II sec. d.C., seppur in declino, era ancora il principale centro culturale del Mediterraneo e non vi sono motivi per dubitare del fatto che Tolomeo vi abbia vissuto per buona parte della sua vita.

Impero romano nel 117 d.C. Crediti: Wikipedia Commons

 Al tempo di Tolomeo l’impero Romano aveva quasi, se  non già,   raggiunto la sua massima estensione. Mentre la  Biblioteca di   Alessandria era sopravvissuta, il Museo con ogni probabilità chiuse i   battenti intorno al biennio 145- 144 a.C., quando, su spinta di Roma,   le persecuzioni di Tolomeo VIII decimarono la popolazione greca di   Alessandria. Alcune città come Pergamo e Rodi diventarono per   qualche tempo stati satelliti di Roma, condizione che garantì una   parziale stabilità e permise il proseguimento degli studi in alcuni   ambiti scientifici.

La produzione di Tolomeo è vasta e copre ambiti molto diversi. Il più antico scritto tolemaico che ci è pervenuto è anche l’unico di cui si ha una datazione certa: si tratta della cosiddetta Iscrizione Canopica, un testo contenente i valori di alcuni parametri astronomici impresso su un monumento dedicato al "Dio Sapiente" posto nel 146/147 d.C. a Canopo, città ad ovest della foce del Nilo. Di poco posteriore deve essere l’Almagesto, l’opera più nota di Tolomeo. Le ultime opere astronomiche di Tolomeo sono le Ipotesi Planetarie, in cui viene proposto un modello cosmologico basato sulla teoria ad epicicli esposta nell’Almagesto, e le Phaseis, in cui si discute delle fasi stellari, argomento trattato nell’Almagesto in misura marginale. In sostanza si può dire che gran parte del lavoro astronomico di Tolomeo ruoti intorno all’Almagesto, rispetto al quale le restanti opere costituiscono aggiunte o modifiche minori.

Altre opere di Tolomeo che ci sono pervenute riguardano argomenti vari, più o meno connessi all’astronomia:

Almagesto: traduzione araba del secolo IX.
Crediti: www.astronoiamo.it

  • L’Harmonica è un trattato sulla teoria musicale probabilmente contemporaneo all’Iscrizione Canopica.
  • I Tetrabiblos sono un trattato di astrologia in quattro libri, inteso da Tolomeo come il naturale complemento dell’Almagesto.
  • L’Analemma e il Planispherion sono due opere di matematica applicata all’astronomia: nella prima si descrive una tecnica di misurazione degli angoli utile nella costruzione di meridiane, mentre il secondo è dedicato alle proiezioni stereografiche su cui si basava la progettazione degli astrolabi.
  • La Geographia, che è essenzialmente un manuale per la stesura di carte geografiche.
  • L’Ottica, di cui ci resta solo una parziale traduzione araba, in cui si discutono anche i fenomeni di riflessione e rifrazione.
  • Pagine dell'Almagesto: testo arabo con tavole astronomiche, traduzione del 1397. Crediti: The Bodleian Library, University of Oxford
  • Un breve scritto filosofico intitolato Sul Criterio e il Principio Regolatore, incluso tra i manoscritti tolemaici, la cui attribuzione è però considerata dubbia da alcuni studiosi.

Ma torniamo a noi, siamo qui per parlare di astronomia e quindi concentriamoci sull’Almagesto.

Opera scritta intorno al 150 d.C. e originariamente intitolata Μαθηματικὴ σύνταξις (Mathēmatikḕ sýntaxis, ossia "Trattato matematico") o Μεγάλη σύνταξις (Megálē sýntaxis, "Grande trattato"); il nome attuale deriva dall'arabo al-Magisṭī, a sua volta adattamento della parola greca Μεγίστη Meghístē, che significa "grandissima", con cui era, al tempo e di solito, indicata l'opera.

Si compone di 13 libri:

·      Il primo libro tratta dei principi dell'astronomia e della trigonometria sferica.


·      Il secondo libro parla dei problemi relativi alla sfera celeste. L'autore ammette che i cieli sono sferici e girano come una sfera. Mentre la Terra, sferica anch'essa e situata al centro dei cieli, è semplicemente un punto in confronto alla distanza delle stelle fisse, e non ha nessun movimento.


·      Nel libro III si tratta dei moti del sole e della durata dell'anno.


·      Nel IV si parla della teoria della Luna e del mese. In questo libro Tolomeo espone una delle sue più importanti scoperte, quella cioè di una seconda ineguaglianza nel movimento della Luna, oggi nota con il nome di evezione. Tolomeo riuscì con questo a rappresentare cosi bene le sue osservazioni lunari, che l'errore raramente superava 1°, quantità molto piccola rispetto allo stato dell'astronomia dell'epoca.


·      Nel libro V, proseguendo l'esposizione della teoria della Luna, discute la distanza di questo astro e del Sole dalla Terra, e trova che la distanza della Luna è 59 volte il raggio terrestre, quella del Sole 1200 volte. Questo secondo valore, che è sostanzialmente quello ottenuto da Ipparco, è molto lontano dal vero (23.439 raggi terrestri), rappresentandone circa 1/20. Nel libro V Tolomeo descrive il più importante strumento astronomico dell'epoca, inventato da Ipparco, cioè l'astrolabio armillare, col quale osservava gli angoli con la precisione di circa 4'.


·      Nel libro VI si parla delle eclissi di Sole e di Luna.


·      I libri VII e VIII contengono un catalogo di 1028 stelle e una discussione sulla precessione. Qui nascono problemi di autenticità visto che il catalogo stellare di Tolomeo sembra preso da quello di Ipparco di Nicea. Tolomeo, da Alessandria, vide e catalogò le stesse stelle di Ipparco, che invece si trovava a Rodi. Tolomeo, se le osservazioni fossero state le sue, avrebbe dovuto catalogare anche stelle più basse di quello viste da Ipparco. In più, il catalogo di Ipparco prevedeva 1080 stelle, quindi un numero superiore rispetto a quelle catalogate da Tolomeo.


·      Gli ultimi cinque libri (IX-XIII) trattano della teoria dei pianeti, ed è questo il più importante contributo “originale” recato all'astronomia da Tolomeo, il quale vi espone il suo sistema geometrico, fondato su epicicli, deferenti e eccentrici, ai quali unì l'equante riuscendo, attraverso una rappresentazione geometrica complicata, ma indubbiamente geniale, a rendere conto in modo abbastanza soddisfacente delle osservazioni possedute in quei tempi sul moto del Sole, della Luna e dei cinque pianeti allora conosciuti.

Uno dei punti di forza del Sistema Tolemaico, in grado di spostare l'ago della bilancia verso il suo modello, fu una spiegazione "fisica" legata all'astronomia: tutti i pesi cadono sulla Terra, quindi la Terra è al centro dell'universo. Tutto ruota intorno alla Terra, in un modello geocentrico perfetto. (Aristotele?!?!?)

In realtà Tolomeo non pensò mai di aver trovato una legge fisica valida in tutto l'universo ma si "accontentò" di elaborare un modello in grado di consentire la previsione del moto dei pianeti e di giustificarne le traiettorie nel cielo, cosa comunque non da poco per quei tempi. Il modello elaborato da Tolomeo è basato su un gioco di interazioni tra cerchi perfetti che vengono percorsi dai "pianeti" (dal gr. plantēs ‘vagante, errante’) allora noti. In realtà anche il sistema in questione sembra appartenere a Ipparco.

In poche parole, il modello prevedeva dei cerchi intorno alla Terra rappresentanti le orbite primarie e chiamati deferenti. Per spiegare il moto retrogrado, ipotizzò che i pianeti non percorressero il deferente in maniera lineare ma attraverso un altro cerchio più piccolo, chiamato epiciclo. I pianeti, quindi, percorrono dei giri di epiciclo mentre si spostano intorno alla Terra secondo il proprio deferente. Il modo di muoversi dei pianeti nel cielo è quindi un moto composto: epiciclo più deferente. Questi cerchi furono previsti per la prima volta da Apollonio di Perga ma trovarono giusto compimento soltanto con Tolomeo e grazie alla esistenza di Ipparco.

Deferente, epiciclo, eccentrico ed equante nel Sistema Tolemaico.
Crediti: edu.inaf.it

Ciò che differenziava le orbite erano gli scostamenti da un centro del sistema e le velocità di moto dei singoli pianeti. Per mantenere valido il modello, infatti, vennero introdotti concetti ancora più complessi come l'eccentrico e l'equante. Il deferente infatti è eccentrico rispetto alla Terra ed il moto del centro dell’epiciclo lungo il deferente è uniforme rispetto ad un punto (equante) simmetrico alla Terra rispetto al centro del deferente stesso.

Tutto ciò introdotto per giustificare le accelerazioni dei pianeti nel momento in cui erano più vicini al nostro e le decelerazioni nel momento in cui se ne allontanavano.


Ogni distanza dalla Terra è occupata da un solo pianeta. I centri degli epicicli che trasportano Mercurio e Venere (pianeti “interni”, tra la Terra e il Sole) sono sempre allineati con il Sole (figura sopra), mentre i raggi degli epicicli di Marte, Giove e Saturno (pianeti “esterni”, oltre il Sole) sono paralleli alla linea che congiunge la Terra con il Sole (figura sotto).
Crediti: edu.inaf.it

Un meccanismo estremamente complesso, quindi, che a pensarci bene toglieva la terra dal centro del sistema (mi sembra una bella contraddizione) lasciandole solo la sua caratteristica di immobilità, ma comunque in grado di giustificare il moto dei pianeti con ragionevole precisione.

In considerazione del fatto che le tavole astronomiche che accompagnano i modelli geometrici costruiti nell’opera sono sparse in varie parti dello scritto, è molto probabile che Tolomeo, per facilitarne l’uso e la consultazione, redasse le cosiddette Tavole Pratiche, che fornivano in maniera compatta i dati essenziali per il calcolo delle posizioni di Sole, Luna e pianeti, per la previsione delle prime e ultime visibilità delle principali stelle e delle eclissi di Sole e Luna. Come sostenuto dalla maggioranza degli storici, parte del successo dell’Almagesto fu dovuto proprio alla facilità d’uso delle relative Tavole Pratiche, che ebbero un’enorme diffusione e costituirono la base per tutte le effemeridi compilate nel Medioevo arabo e latino fino all’affermarsi del modello copernicano.

Come abbiamo visto, l'Almagesto cita spesso osservazioni, ipotesi e teorie di filosofi e astronomi più antichi, costituendo un'importante fonte sulla astronomia ellenistica che era stata sviluppata secoli prima.

L’opera, nell’ultimo secolo, è stata analizzata e messa in discussione soprattutto su questo aspetto e cioè sul se, grazie all’Almagesto sappiamo qualcosa sull’età d’oro dell’astronomia ellenistica, oppure, se per colpa di esso, siano giunte a noi così poche opere di quel periodo. 

Per i precedenti personaggi di cui abbiamo parlato, facenti parte di quel periodo, poche opere sono arrivate fino a noi e sulla base delle opere di cui ci è pervenuto solo il titolo si stima che di tutta la produzione scientifica di quell’epoca (che comprendeva opere di matematica, astronomia, pneumatica, ottica, meccanica, medicina e tanto altro), solo l’1-2 % sia giunto intatto fino a noi.

Tale periodo si sviluppò in una tradizione scientifica continua, raggiungendo risultati di grande livello che, in mancanza di fonti dirette, risulta difficile ricostruirne i metodi e i risultati raggiunti.

L’età d’oro della scienza ellenistica ebbe vita breve. A partire dal 212 a.C., anno del sacco di Siracusa da parte delle forze del comandante Marcello, i principali centri dell’ellenismo furono gradualmente conquistati dai Romani, che nell’arco di un paio di secoli imposero il loro dominio su tutto il Mediterraneo. Le ricerche si interruppero quasi ovunque, e molti studiosi furono perseguitati, deportati a Roma come schiavi o costretti a emigrare.

Il generale regresso culturale del periodo che va dalla fine del II sec. a.C. all’inizio del II sec. d.C., quindi, ha fatto sì che tali opere, non più comprese e, dunque, ritenute di scarso interesse, smettessero di essere tramandate nella loro forma originaria. Il processo di selezione, che non è certo andato nella direzione di preservare gli scritti migliori, ha favorito opere di compilazione o di carattere divulgativo, che utilizzavano un linguaggio ancora comprensibile nella tarda antichità e nel Medioevo. Scritti di età imperiale, metodologicamente inferiori, si sono così tramandati meglio delle opere ellenistiche: si è conservato ad esempio il trattato sugli specchi di Erone di Alessandria (I - II sec. d.C.), ma non l’opera sullo stesso argomento scritta da Archimede. In certi casi, delle opere originali, sono sopravvissute solo le parti più semplici e immediatamente accessibili: degli otto libri che componevano le Coniche di Apollonio di Perga,  restano in greco solo i primi quattro libri; i tre successivi si sono conservati tradotti in arabo, mentre l’ultimo è andato perduto (e questi sono solo alcuni esempi).

C’è chi si è messo a contare il numero delle osservazioni astronomiche che sono riportate nell’Almagesto e non ha fatto altro che confermare che esiste un vuoto di oltre due secoli in cui la continuità delle misure è stata interrotta e ripresa solo da Tolomeo.

Come evidenziato da alcuni, questo vuoto, questo periodo di regresso metodologico impedisce di collocare Tolomeo in stretta continuità con la tradizione scientifica ellenistica e alla luce di questo, il concetto che tutto il sapere della scienza ellenistica sia confluito nell’Almagesto assume un carattere autoreferenziale, tautologico visto che quasi la totalità della scienza ellenistica pre-tolemaica è stata tratta dall’Almagesto stesso.

Sono dunque diventate importanti, per gli storici che hanno deciso di rivalutare e mettere in discussione l’importanza dell’opera di Tolomeo come fonte storica, le opere letterarie di questo periodo buio, cioè opere non di carattere scientifico ma che all’interno hanno riferimenti a modelli astronomici dell’era ellenistica precedente. Allora, andando a spulciare nelle opere di Plutarco, Erone di Alessandria, Simplicio, Seneca, Vitruvio, Plinio il Vecchio ed altri autori del periodo, sono emersi riferimenti al periodo d’oro della scienza ellenistica che dimostrano la conoscenza del principio di inerzia e di gravità, che l’eliocentrismo non era confinato solo nel caso di Aristarco di Samo ma preso in considerazione da molti altri e comunque ritenuto un sistema che “salvava i fenomeni” al pari del geocentrico ed in maniera più semplice, l’attribuzione delle maree all’attrazione esercitata dalla Luna, il moto dei corpi celesti basato sull’equilibrio tra attrazione e forza centrifuga e la rotazione della terra sul proprio asse.

In effetti argomenti decisivi contro il geocentrismo, e dunque contro l’immobilità della Terra, erano stati sollevati secoli prima. Tuttavia l’Almagesto è completamente privo di idee dinamiche, essendo appunto i movimenti dei corpi celesti spiegati in termini aristotelici. Tutto lascia intendere dunque che Tolomeo stesse riferendo idee risalenti, al più, al primo ellenismo e che non fosse a conoscenza degli sviluppi più maturi della scienza ellenistica. Lo stesso Tolomeo ammette d’altra parte che su base astronomica, le ipotesi di terra immobile e terra in “movimento”, sono del tutto equivalenti, e per sostenere la propria posizione è costretto a ricorrere nuovamente ad argomenti aristotelici.

Altro aspetto che ad una più attenta analisi desta dei sospetti è quello delle misure tratte delle osservazioni che l’autore dice di aver fatto personalmente.

La questione fu sollevata per la prima volta da Delambre all’inizio del XIX secolo e indagata più a fondo da R. Newton negli anni settanta del XX secolo. Delambre evidenziò innanzitutto come nonostante lungo tutto l’Almagesto Tolomeo sottolinei più volte l’importanza dell’accuratezza delle misure, soffermandosi anche sulla descrizione degli strumenti che dice di utilizzare, poi, nelle descrizioni che riporta, le informazioni sono spesso piuttosto vaghe e mancano di dettagli essenziali sulle caratteristiche degli strumenti e sui procedimenti di misura. Anche se a queste incongruenze vogliamo dare poco peso, di certo non possiamo non considerare irrilevanti le anomalie riscontrate nei risultati delle misure da lui fatte o quanto meno da lui dichiarato di aver fatto. Riassumo per non dilungarmi troppo. In molti casi, proponendosi di verificare e migliorare le misure eseguite secoli prima da astronomi greci, soprattutto Ipparco, non fa altro che dichiarare di aver raggiunto lo stesso risultato. Delambre trova sospetta questa circostanza, essendo l’incertezza sulle misure abbastanza elevata da rendere estremamente improbabile un accordo esatto in tutti i casi, ponendosi così il dubbio sull’effettiva esecuzione delle osservazioni da parte del nostro personaggio o se siano solo frutto del risultato di calcoli fatti sulle tavole in suo possesso. Newton, riprendendo le ipotesi di Delambre e analizzando gran parte delle osservazioni riportate nell’Almagesto ha riscontrato che in molti casi i valori calcolati e quelli "osservati" concordano fino all’ultima cifra sessagesimale riportata da Tolomeo; quando l’accordo non è esatto, la discrepanza è facilmente riconducibile ad arrotondamenti, troncamenti e altri problemi computazionali. Nei casi in cui un’analisi di questo genere non è possibile per mancanza di dati, Newton ha utilizzato le teorie odierne per stimare l’accuratezza delle osservazioni riportate da Tolomeo, trovando scostamenti spesso inspiegabili sulla base dei soli errori sperimentali e strumentali. In tutti i casi, comunque, le misure riportate da Tolomeo confermano brillantemente la sua teoria. Ci sono molti esempi a conferma di questi dubbi e incongruenze, analizzate poi anche da altri storici, che portano Newton a pensare che l’opera sia stata scritta “partendo dalla fine” ovvero che abbia costruito a tavolino dei modelli geometrici conformi ad alcuni principi filosofici generali, utilizzando dei parametri quasi corretti e costruendo poi le osservazioni per confermare la teoria che ne deriva. Sembra che Tolomeo sia convinto che l’esistenza di una struttura matematica costituita da moti circolari uniformi fosse più certa di qualunque dato sperimentale. D’altra parte se è vero che la precisione degli strumenti dell’epoca era più che sufficiente per mostrare le lacune della teoria tolemaica, è altrettanto vero che si trattava di risultati notevolissimi dopo quasi tre secoli di interruzione dell’attività scientifica.

Il frammento A della Macchina di Anticitera,
in cui è riconoscibile l'ingranaggio solare a quattro bracci.
Crediti: Focus.it

 Nel 1900 è stata ritrovata la cosiddetta “Macchina di Anticitera”, un   congegno meccanico, ritrovato in un relitto affondato vicino all’isola   greca da cui prende il nome e che risulta essere il più antico   calcolatore meccanico finora conosciuto. Esso è datato intorno al II   secolo a.C. (coeva di Ipparco) e risulta essere un planetario   meccanico molto avanzato costituito da numerosi ingranaggi.   L’ingranaggio principale rappresenta il moto del sole e trasmette il   movimento a tutti gli altri. All’interno è presente anche un sofisticato   sistema di ingranaggi che riproduce la cosiddetta anomalia lunare,   ovvero la differenza tra il tempo che la luna impiega a tornare nella   stessa posizione rispetto a terra e sole (lunazione) e il tempo che   impiega a tornare nella stessa posizione rispetto alle stelle fisse   (mese lunare siderale), anomalia già individuata da Ipparco e   sicuramente conosciuta dai costruttori della macchina. Questo   sistema (detto pin-slot device) era capace di trasformare il moto   uniforme in ingresso in moto non uniforme intorno allo stesso asse,   imprimendo una variazione periodica di velocità.

Riproduzione virtuale di come doveva apparire
dall'esterno la Macchina di Anticitera.
Crediti: Our current knowledge of the Antikythera
Mechanism di J. Seiradakis, M. Edmunds 2018

Della parte che doveva riprodurre i moti planetari non ne è rimasto quasi niente ma non sembra esagerato pensare che un tale sistema non sia stato applicato per simulare anche le anomalie dei moti planetari e che la sua costruzione sia stata basata su un sistema eliocentrico. Di simili congegni, ne parla anche Tolomeo nella sua opera Ipotesi Planetarie e, per come ne parla, sembra che ne abbia avuto almeno uno simile a disposizione per poterlo analizzare da vicino e che ai tempi, tali meccanismi erano abbastanza comuni anche se, non tutti complessi come quello di cui parliamo. Nonostante ciò il nostro personaggio non si dice soddisfatto di tali meccanismi e non li considerava sufficienti a dimostrare i moti dei corpi celesti, come se non riuscisse a comprenderne il complicato funzionamento.

Alla luce di tutto questo, non possiamo ceto dire che Tolomeo non abbia prodotto un gran numero di opere e che non abbia dedicato la sua vita a questo ma ci sembra anche di poter dire che non sia stato obbiettivo ed oggettivo nel farlo, soprattutto nella sua opera più grande, con conseguenze negative sullo sviluppo delle scienze nei secoli a seguire.

R. Newton, nel suo libro The Crime of Claudius Ptolemy, conclude che Tolomeo andrebbe considerato non il massimo astronomo dell’antichità, ma il più grande truffatore della storia della scienza.

Se crimine fosse, per me, sarebbe di natura colposa.

Ho trovato scritto, girovagando tra libri e siti alla ricerca di notizie sui nostri personaggi, che nel 212 a.C ci fu la sola ed unica comparsa di un Romano nella storia della matematica e delle scienze in generale. Il soldato che a Siracusa uccise Archimede durante la seconda guerra punica. Commentando questo avvenimento, il matematico e logico inglese Norman Whitehead, all’inizio del secolo scorso, disse:<fu il simbolo di un cambiamento mondiale di prima grandezza: i Greci, con il loro amore per le scienze astratte, furono soppiantati alla guida del mondo europeo dai pratici Romani, [i quali] furono afflitti dalla sterilità che si accompagna alla pura pratica>.

Vediamo se riesco a trovare qualche personaggio, successivo a Tolomeo, che alla pratica è riuscito ad unire anche la teoria!

A presto…

Dario Ciurli

P.S.

Se a qualcuno interessasse approfondire l’analisi dell’Almagesto riguardo agli aspetti sollevati nell’articolo, vi consiglio di leggere una Tesi di Laurea Magistrale della Università degli Studi di Napoli “Federico II” intitolata “Le Fonti Ellenistiche dell’Almagesto di Tolomeo” nella quale potete trovare un quadro completo e dettagliato di tutto quello a cui ho solo accennato. Per mia sfortuna, e vostra fortuna, ho trovato questo documento solo verso la fine della stesura, altrimenti una trentina di pagine da sorbire non ve le toglieva nessuno. 😁

Commenti