Københavns Universitet, 1922
Quando qualche giovane fisico in visita a Copenaghen esponeva i
risultati dei suoi recenti calcoli su un punto particolarmente complesso e
profondo della teoria dei quanti, capitava frequentemente che tutti nella sala
comprendessero chiaramente la dissertazione, ad eccezione di Bohr. Allora
qualcuno era costretto a spiegargli tutto dal punto nel quale si era perso e
nella confusione che ne derivava nessuno riusciva più a seguire la trattazione
del povero conferenziere. Alla fine, dopo un bel po’ di tempo, Bohr iniziava ad
afferrare il senso della lezione e risultava che quello che aveva compreso lui
era completamente diverso da quello che l’oratore intendeva dire, ma il bello
era che la visione di quest’ultimo era sbagliata e quella di Bohr corretta!
da http://www.museodellaradioattivita.it/ft_item.php?id=263
Il modello atomico di Rutherford lasciava ancora diversi punti in
sospeso, come per esempio l’effettiva posizione degli elettroni attorno al nucleo.
Inoltre, secondo le leggi classiche della meccanica e
dell’elettromagnetismo, una carica elettrica in accelerazione perde energia
emettendo radiazioni elettromagnetiche. Essendo gli elettroni particelle
cariche ed essendo la loro orbita intorno al nucleo a tutti gli effetti un moto
accelerato, tutti gli elettroni dovrebbero presto perdere la loro energia,
finendo inesorabilmente per cadere sul nucleo. Cosa evidentemente falsa, non
fosse altro per il fatto che io sono ancora tutto intero a scrivere questo
articolo e voi a leggerlo! E poi il moto a spirale degli elettroni verso il
nucleo dovrebbe produrre un’emissione continua a lunghezze d’onda gradualmente
decrescenti, mentre quello che si osserva negli spettri di emissione sono righe
di colori ben precisi.
Era anche noto che in tutti i corpi le oscillazioni termiche degli
atomi generano l’emissione di una certa quantità di energia sotto forma di onde
elettromagnetiche a tutte le frequenze (ricordate lo spettro continuo di Kirchhoff
e Bunsen?). Nel caso particolare di un oggetto capace di assorbire tutta la
radiazione che lo colpisce - un cosiddetto corpo nero - la quantità di
luce riemessa in funzione della lunghezza d’onda (cioè del “colore”) dipende
solo dalla sua temperatura e non dalla forma dell’oggetto, né dalla sua
composizione chimica. Pensate a un pezzo di metallo: finché è freddo emette
radiazioni principalmente nell’infrarosso e non risulta luminoso ai nostri
occhi, ma quando il fabbro lo riscalda sotto le braci comincia a brillare di
rosso, per poi cambiare gradualmente colore fino al bianco alle temperature più
alte. Il problema sta nel fatto che a luce di frequenza maggiore corrisponde
un’energia maggiore e facendo i calcoli si ottiene che ogni oggetto dovrebbe
emettere una quantità infinita di energia! E’ la cosiddetta catastrofe
ultravioletta.
La soluzione a quest’ultimo problema era già stata fornita nel 1900 dal
grande fisico tedesco Marx Karl Ernst Ludwig - per gli amici Max 😉 - Planck (premio Nobel
per la fisica nel 1918), il quale introdusse nelle equazioni un artificio
matematico per farsi tornare i conti: supponendo che gli atomi non emettano
energia con valori qualsiasi ma solo come multipli di una quantità ben
definita, l’emissione luminosa raggiunge un massimo in corrispondenza di una
certa lunghezza d’onda (dipendente dalla temperatura dell’oggetto secondo la legge
dello spostamento di Wien) per poi tornare a diminuire a frequenze
maggiori. In questo modo la catastrofe ultravioletta non si verifica più.
Per quanto sembrasse strano, Planck dovette poi ammettere che più che
un artificio matematico si trattava di una vera e propria scoperta: la natura
funziona proprio in quel modo, con dei “pacchetti” di energia che possono
essere emessi e assorbiti solo interi. Questi pacchetti furono chiamati quanti
(nel senso di “quantità più piccola possibile”) e, anche se Planck non lo
sapeva ancora, era il primo atto di quella che sarebbe poi diventata nota come meccanica
quantistica.
La vera rivoluzione per la spettroscopia arrivò però nel 1913 con il
fisico danese Niels Henrik David Bohr (premio Nobel per la fisica nel 1922): il
suo modello, poi perfezionato alcuni anni dopo dal matematico e fisico tedesco
Arnold Johannes Wilhelm Sommerfeld, prevedeva l’applicazione della neonata
teoria quantistica agli elettroni dell’atomo di Rutherford.
Il concetto di base pone gli elettroni in movimento attorno al nucleo
solo su particolari orbite. A ciascuna di esse corrisponde un livello
energetico quantizzato, nel senso che l’energia di un elettrone non
varia con continuità passando da un’orbita a un’altra, ma deve invece assumere
lo specifico valore dell’orbita sulla quale si trova. Questa energia cresce man
mano che ci si allontana dal nucleo: i livelli più bassi (cioè le orbite più
vicine al nucleo) sono meno energetici di quelli più alti (le orbite più
lontane).
In questo modo un elettrone che si trovi su una certa orbita,
nonostante il suo movimento, non emette radiazione elettromagnetica e quindi
non perde energia: non può farlo, perché finché sta su quel livello le leggi
quantistiche lo vincolano a mantenere indefinitamente l’energia corrispondente!
Tale energia cambia invece quando l’elettrone si sposta su un’altra orbita: se
scende verso il nucleo perde energia, se sale ne guadagna.
Ma l’energia non può svanire o crearsi dal nulla: quando l’elettrone
scende, l’energia viene emessa sotto forma di un fotone di frequenza ν, tale
che hν (ricordate quello che abbiamo visto nel terzo articolo di questa
rubrica?) corrisponda proprio - ma guarda un po’! - alla differenza fra il
livello energetico di partenza e quello di arrivo. Questo processo avviene
spontaneamente, motivo per cui gli elettroni tendono a occupare le orbite più
basse; per salire hanno invece bisogno dall’esterno di un fotone con l’energia
giusta per portarli su un’orbita più alta. La situazione con un elettrone su un
livello più energetico del normale è detta stato eccitato e di norma ha
una durata molto breve (frazioni di secondo), dopodiché l’elettrone torna
nell’abituale stato di riposo e il fotone viene riemesso in una
direzione qualsiasi, generalmente diversa da quella iniziale di provenienza.
Semplificando un po’, possiamo paragonare la struttura dell’atomo a una
scalinata: una pallina potrà stare su un gradino o su un altro, ma mai a metà
strada; spontaneamente la pallina tenderà a cadere verso i gradini più bassi,
mentre salirà solo se una mano fornisce l’energia necessaria per alzarla.
Il meccanismo appena descritto spiega le righe che si osservano negli
spettri: i fotoni assorbiti non li vediamo più e quindi comparirà una riga
scura di assorbimento; i fotoni emessi fanno aumentare la luminosità in
corrispondenza della loro frequenza, generando una riga di emissione.
Il numero dei livelli energetici di ciascun atomo non è infinito,
motivo per cui se un fotone possiede un’energia sufficientemente alta può
strappare via un elettrone oltre l’orbita più esterna. Questo elettrone non
sarà così più vincolato a orbitare attorno al nucleo di quell’atomo, né di
conseguenza a rispettare la quantizzazione della propria energia. Tale processo
è noto come effetto fotoelettrico e, pur essendo noto già da parecchi
anni, a fornirne la corretta interpretazione teorica fu nel 1905 il celeberrimo
fisico tedesco-svizzero-statunitense Albert Einstein (premio Nobel per la
fisica nel 1921).
In genere gli atomi possiedono tanti elettroni (carica elettrica
negativa) in orbita quanti protoni (carica elettrica positiva) nel nucleo,
risultando in questo modo complessivamente neutri. Se uno o più elettroni
vengono persi, l’atomo assume carica positiva e viene chiamato ione (per
la precisione catione, mentre è detto anione un atomo carico
negativamente a causa dell’eccedenza di elettroni).
In realtà il modello atomico di Bohr e Sommerfeld non riusciva a
spiegare esattamente tutte le caratteristiche degli atomi e anche la meccanica
quantistica avrebbe in seguito subito numerosi perfezionamenti, ma affronteremo
le singole questioni caso per caso solo se sarà necessario. Per ora abbiamo
(finalmente!) tutti gli strumenti di base per spiegare le osservazioni di padre
Secchi e capire gli spettri astronomici che vedremo proseguendo in questa
rubrica:
-
le stelle si comportano più o meno come corpi
neri, motivo per cui osservandone lo spettro vediamo uno sfondo continuo, nel
quale sono più luminosi i colori corrispondenti all’intervallo di frequenze di massima
emissione secondo la teoria di Planck. Questo spiega in particolare la differenza
di colore fra le varie stelle in base alla loro temperatura;
-
le righe di assorbimento sono invece
giustificate dalla presenza degli atomi di gas negli strati più esterni degli
astri: le righe sono sottili perché a causa dei fenomeni quantistici l’assorbimento
avviene solo a lunghezze d’onda ben precise; e le differenze fra una stella e
l’altra dipendono dai diversi elementi chimici presenti;
-
se inoltre su una stella avvengono fenomeni
particolari che producono più luce a certe frequenze, in corrispondenza di
queste lunghezze d’onda osserveremo le righe di emissione.
Dopo che Bohr ebbe vinto il Nobel, nel 1922 la Carlsberg gli regalò
una casa adiacente a una delle fabbriche in cui produceva la sua birra. La casa
era dotata di una tubatura che permetteva al fisico di servirsi gratuitamente
di birra fresca quando ne voleva.
Sicuramente Bohr era anche un uomo molto fortunato!
Ci risentiamo al prossimo articolo.
Vi aspettRo!
Lorenzo Bigazzi
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