Quanti modi ci sono per raccontare
le meraviglie dell’universo che ci circonda?
Ovviamente se vogliamo spiegare a
qualcuno come orientarsi nel cielo, lo portiamo fuori durante una notte
stellata, possibilmente serena, e iniziamo a mostrargli asterismi,
costellazioni, raccontiamo la mitologia che sta dietro ai vari personaggi che
popolano virtualmente i nostri cieli, gli insegniamo come orientarsi.. Se
vogliamo mostrargli quali tipologie di oggetti compongono il nostro universo,
posizioniamo un telescopio e iniziamo a puntare gli oggetti più diversi:
ammassi, nebulose planetarie, nebulose diffuse, galassie, pianeti.. Se vogliamo
entrare nel dettaglio di un argomento specifico normalmente preferiamo qualche
slide e un proiettore per riuscire a far comprendere meglio l’argomento che
trattiamo. Ma se qualcuno è veramente appassionato, allora beh… in quel caso
consigliamo un libro sull’argomento; pieno di dettagli, spiegazioni,
illustrazioni e teorie.
Ma se invece abbiamo bisogno di
raggiungere un pubblico più vasto, che magari dell’argomento sa poco e non ha
neanche molta voglia di vestirsi e uscire al freddo e al gelo di queste notti
invernali?
Il miglior rimedio, ve lo dico io,
è consigliare un bel film.. di quelli magari fatti bene! Con una sceneggiatura
realistica e che, facendoti passare due ore di relax, in sordina, intanto, ti
racconta e ti spiega qualcosa. Qualcosa di vero, qualcosa di scientificamente
corretto, qualcosa che ti mostra un po’ delle meraviglie dell’universo che ci
circonda, e perché no? Anche dei suoi pericoli.
Giocando
s’impara diceva
De Agostini ed è vero! Se ci divertiamo prestiamo più attenzione e impariamo di
più. Vedrete quante cose possiamo capire e imparare dalla visione di un film…
Ed eccoci dunque qui a dare un
caloroso benvenuto a tutti voi in questa nuova rubrica che muove i primi passi
(anzi scrive le prime lettere!) oggi qui sul blog dell’AAAV con questo primo
articolo!
A ZONZO PER IL filmAMENTO
Oggi vorrei parlarvi di un film
che io ho adorato, dall’inizio alla fine.
Un film che ti tiene incollato
allo schermo e ti fa immedesimare così tanto nel protagonista, che quando
arrivano i titoli di coda ti guardi intorno, spaesato, e ti rendi conto di
essere sempre stato sul divano di casa tua, magari con pop-corn e coca-cola.
Oggi vi parlo di Sopravvisuto – The Martian, uscito
nelle sale italiane il 1 Ottobre 2015 con la geniale regia di Ridley Scott.
crediti 20th Century Fox |
“Salve,
io sono Mark Watney, un astronauta… Sto tenendo questo diario come
testimonianza nel caso non ce la faccia. Qui sono le… le 06:53 di SOL 19 e sono
ancora vivo… Beh, evidentemente. Ma credo che questa sarà una bella sorpresa
per i miei compagni e per la NASA. E per il mondo intero, davvero. Quindi…
“Sorpresa!”… … Non ho modo di contattare la NASA, ma anche se potessi ci
vorrebbero quattro anni prima che una nuova missione mi raggiungesse e sono in
un Hab progettato per durare trentuno giorni, se l’ossigenatore si rompe muoio
soffocato, se il rigeneratore d’acqua si rompe muoio di sete, se si apre una
falla nell’Hab muoio per esplosione… E se per miracolo non succede niente di
tutto questo, a un certo punto non avrò più cibo. Dunque… Sì… Sì.”
Queste sono alcune tra le prime
parole pronunciate da Mark Watney, interpretato magistralmente da Matt Damon. Botanico e Ingegnere
meccanico, è stato abbandonato su Marte dai suoi compagni di missione perché erroneamente creduto morto a causa di un
incidente durante una tempesta di sabbia, che ha costretto gli astronauti della
missione Ares 3 ad un rientro anticipato verso la Terra.
Il genere Sci-fi del film si fa subito evidente, il realismo scientifico si
somma ad un po’ di fantascienza, ma comunque plausibile. Sia il regista Scott sia Andy Weir (Ingegnere informatico poi prestato alla carriera di
scrittore), l’autore del libro L’uomo di Marte da cui è stato tratto
il film, avevano lo scopo dichiarato di renderlo più veritiero possibile. Scott
si è addirittura avvalso della consulenza scientifica di un gruppo di
scienziati scelti e capitanati da Jones L. Green, direttore della divisione per
le scienze planetarie della NASA.
Attualmente sono diverse le
agenzie spaziali che stanno progettando missioni verso il pianeta rosso con la
missione Artemis che fa da capofila, e i rischi e gli eventuali pericoli di un
viaggio interplanetario sono sotto lo studio attento di diversi team di
scienziati provenienti da tutto il mondo: radiazioni, cibo, temperatura, sono
solo alcune delle quotidianità che i futuri esploratori del Sistema Solare
dovranno affrontare. Anche il nostro astronauta Mark Watney si trova a dover
pensare velocemente e a dover inventare soluzioni innovative senza l’aiuto “da casa”.
Ma lui non si fa scoraggiare dall’inevitabile preoccupazione di non riuscire e
decide di provare. A fare cosa, dite voi? Ma a sopravvivere ovviamente!
crediti 20th Century Fox |
“Okay,
facciamo cinque conti: la missione esplorativa doveva durare 31 SOL, per
sicurezza hanno mandato viveri per 68 SOL, la quantità per sei persone, ma ci
sono solo io, quindi ne ho per 300 SOL, anche se penso di poter arrivare a 400
se li raziono. Quindi devo scoprire come fare a coltivare del cibo per tre anni
su un pianeta in cui non cresce nulla. Per fortuna… io sono un botanico!”
Risolvere il problema del cibo in
un viaggio interplanetario è fra le cose più importanti. È impensabile portare
da Terra tutte le provviste per anni di viaggio (andare su Marte implica almeno
sei mesi di viaggio per l’andata, trenta giorni circa di permanenza, e di nuovo
circa sei mesi per il rientro), avremmo bisogno di un lanciatore troppo grande
con altrettanti grandi rischi di fallimento. La soluzione è da cercare quindi arrivati
a destinazione. Coltivare nello spazio è possibile? Sono anni che gli
astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale provano a coltivare piante e
a capire quali siano le condizioni migliori di crescita e di produzione, per
trovare anche un sistema ciclico che permetta di avere frutta e verdura fresche
riciclando ciò che c’è disponibile nella base spaziale.
Il nostro astronauta preferito, si
mette subito al lavoro. Inizia a costruire una serra nell’Hab. Inizia a portare
terra marziana all’interno e a fertilizzarla con quel che ha: “Il mio buco del culo sta contribuendo alla
mia sopravvivenza non meno del mio cervello.” Già! Inizia a recuperare le feci
dell’equipaggio stoccate, e le utilizza come fonte di minerali fondamentali per
la crescista delle piante ma assenti nella terra di Marte.
crediti 20th Century Fox |
Tutto questo mentre il suo
cervello è, ovviamente, anche occupato a trovare un modo per contattare la NASA
e far capir loro che è sopravvissuto.
Il paesaggio della Valle Vadi Rum
(Valle della Luna), in Giordania, è il luogo perfetto a mio avviso per ricreare
il paesaggio marziano. I più pignoli sottolineeranno il fatto che la missione
Ares 3 era atterrata in una zona pianeggiante, mentre il paesaggio dove si
muove il nostro protagonista è costellato da piccoli rilievi, ma non sarebbe
stato molto “televisivo” se il protagonista avesse attraversato, durante i suoi
spostamenti, solamente una pianura immensa senza fine. In ogni caso questa
valle trasmette allo spettatore esattamente la stessa sensazione di sublime, di
solitudine, di angoscia ma anche di meraviglia che immagino un astronauta provi
in un luogo così diverso da quello dal quale noi proveniamo e al quale siamo
abituati.
Intanto sulla Terra, i capi della
NASA (Jeff Daniels, Chiwetel Ejiofor,
Sean Bean) si accorgono che alcuni moduli della base abbandonata su Marte
hanno una posizione diversa e comprendono che Watney deve essere ancora vivo.
Iniziano allora a seguire tutte le sue mosse tramite gli Orbiter per cercare di
contattarlo.
“No,
scusate, ma forse non avete riflettuto a fondo, cioè, che cosa diremo? “Cara
America, ricordi quell’astronauta che abbiamo ammazzato e al quale abbiamo
fatto un bel funerale? Pare che sia ancora vivo e che l’abbiamo lasciato su
Marte, colpa nostra! Cordialmente NASA”!”
Il film continua ad alternare
momenti di calma e momenti di agitazione dovuti alle vicissitudini del
protagonista. Ma quello che è riuscito a fare Scott, è lasciare in sordina,
quieto ma mai dimenticato, il filo conduttore dell’ansia. L’ironia di Watney,
mai pesante, riesce ad alleggerire questa ansia che accomuna lo spettatore al
protagonista. Si crea una sorta di legame empatico; se lui, che è in una
situazione di pericolo, riesce a ridere e scherzare perché dovremmo
preoccuparci noi che siamo comodamente seduti sul divano di casa? E allora
iniziamo a ridere con lui, a ballare perché no, sotto la colonna sonora di Harry Gregson- Williams, mix perfetto
di musica dance, rock, pop durante i suoi successi, e poi a disperarci con lui
e a ritornare con i piedi per terra (anzi su Marte!) quando un’esplosione
distrugge irreparabilmente la serra dove era riuscito a coltivare patate, con
il rumorosissimo silenzio di sottofondo a sottolineare ancora di più che siamo
nello spazio; e lo spazio non è mai facile.
Nel frattempo il nostro
protagonista riesce a riattivare il vecchio Mars Pathfinder col quale inizia a
comunicare con la NASA.
“Adesso che la NASA può parlare con me non chiude più il becco, vogliono
aggiornamenti continui su tutti i sistemi dell’Hab e hanno riempito una stanza
di persone che cercano di micro-gestire la mia coltivazione, il che è
incredibile. Cioè, voglio dire, non voglio sembrare arrogante, per carità, ma
io… (mostra le sue piante di patata cresciute) sono il più grande botanico di
questo pianeta!”
I monologhi di Watney sono l’unico
modo che abbiamo per avere una finestra sul mondo interiore del protagonista,
per capire cosa sta provando, cosa sta pensando e progettando. Dentro quelle
registrazioni riversa tutte le sue paure, che invece durante le attività del
giorno riesce ad accantonare per concentrarsi sul suo obiettivo. Sistema di
difesa umano o addestramento NASA? Forse un mix delle due cose. Gli uomini che
oggi vanno lassù sulla ISS o in altre missioni simili, sono preparati a tutto,
addestrati e psicologicamente pronti ad ogni eventualità, certo è che questa
sarebbe una situazione veramente al limite. L’istinto di sopravvivenza umano è incredibilmente
resistente e caparbio, ma chi di noi avrebbe la capacità di trovare soluzioni così ingegnose senza un valido
addestramento?
Intanto sulla Terra, una missione piena di rifornimenti di viveri,
progettata in fretta e furia dalla NASA, fallisce con l’esplosione del vettore
dopo il lancio e l’agenzia statunitense si trova costretta, dopo l’elaborazione
di un nuovo piano di salvataggio, a
comunicare al resto dell’equipaggio della missione Ares 3, di rientro verso la
Terra, che il compagno è sopravvissuto su Marte, mesi dopo l’avvenuta scoperta.
Che cosa decideranno di fare? Metteranno di nuovo a rischio le loro vite nello
spazio profondo per tentare un’improbabile missione di recupero?
crediti 20th Century Fox |
Vincitore del Golden Globe come
miglior film commedia o musicale, questa produzione 20th Century Fox è stato candidato a sette Oscar nel 2016: miglior
film, miglior attore protagonista, miglior sceneggiatura non originale, miglior
scenografia, migliori effetti speciali, miglior sonoro e miglior montaggio
sonoro.
Da un punto di vista scientifico,
come ha detto anche Jones L. Green è “ragionevolmente realistico”. Ci sono
alcune cose che sono state amplificate soprattutto per quanto riguarda il clima
di Marte, come i venti della tempesta iniziale. Su Marte i venti sono molto più
deboli. Tocco di classe invece i Dust Devil visibili di tanto in tanto sullo
sfondo. Le tecnologie usate da Watney, in particolare il processo di
combustione per la produzione dell’acqua nella serra e il generatore
termoelettrico a radioisotopi, sono tecnologie realmente esistenti e in
progetto per le missioni future sul pianeta rosso. Le scene finali, pur
rimanendo sempre plausibili, sono al limite del surreale, sicuramente adatte al
pubblico del grande schermo stonano un po’ con la verosimiglianza di tutto il
resto della produzione.
Il regista ha scelto consapevolmente
di non rappresentare la differenza di gravità, che avrebbe creato lentezza e
distrazione durante la visione del film, ma sinceramente dopo i primi minuti
non ti accorgi neanche più di questa mancanza. Futuristica la stazione rotante
Hermes, che trasporta gli astronauti nel lungo viaggio interplanetario, che ha
una zona con forza di gravità ricreata artificialmente, ricorda sicuramente il
progetto, mai realizzato, di Von Braun. Uno sguardo al passato per andare
dritto verso il futuro!
“Benvenuti
al Programma per Candidati Astronauti. Fate molta attenzione, tutto questo
potrebbe salvarvi la vita… … Questo è lo spazio, e non collabora. A un certo
punto vi succederà qualcosa di terribile e voi direte: “Ecco, è così che
morirò.” Ora, o accettate che accada… o vi date da fare. Le cose stanno così.
Dovete cominciare, fate calcoli, risolvete un problema, e poi risolvete il
successivo e quello dopo, e se ne avrete risolti abbastanza tornerete a casa…
Molto bene. Domande?”
Domande? Tantissime!
La visione di questo film, anche
per i non addetti ai lavori, ti fa venir voglia di saperne di più, di capire
come funziona, ti avvicina al mondo dell’astronautica attuale. E allora ti
accorgi che le stesse domande, gli stessi problemi, gli stessi pericoli
presenti nel film sono quelli che Tom, Dick e Harry, astronauti di oggi e del
futuro, si ritroveranno probabilmente ad affrontare.
Una frase rimane come un mantra
nella mia testa a ricordo di questo film; lo spazio non collabora.
“La salvezza è a soli 225 milioni di chilometri di distanza.”
Silvia Gingillo
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