le stelle emergono come spiriti magici”
Chi di voi durante l’estate, vedendo nuotare un delfino nel mare, anche solo da lontano, non ha desiderato avvicinarsi? Chi di voi ha avuto la curiosità di interrogarsi sulle sue incredibili capacità intellettive? Indubbiamente fa parte di quegli animali che da sempre hanno e ancora oggi affascinano tutti noi: li troviamo presenti in molte rappresentazioni artistiche, nelle fontane di molte città e in stemmi araldici. Ma da dove deriva l’interesse verso questa splendida creatura che ha avuto il privilegio di essere posta in cielo a far parte di quel grande libro illustrato che ci racconta la storia mistica delle civiltà?
Possiamo dire che tutte le popolazioni dell’antichità hanno visto in questo asterismo la figura di un delfino, perfino gli arabi, che inizialmente vedevano in esso un cammello, chiamarono poi questa costellazione “Al-Dulfin”. Per gli Ebrei era la balena che inghiottì Giona prima di ricevere il dono della Profezia (c’è chi dice che Collodi si sia ispirato a questa storia quando ha scritto “Pinocchio”). Comunque sia, per tutti il delfino ha sempre rappresentato la purezza, l’innocenza e la bontà; la storia di molte culture, oltre che la mitologia greca, è ricca di leggende dove questo animale viene visto come un essere divino o aiutante degli dèi, portatore di pace e salvezza per gli uomini. A tale proposito si narrano episodi di salvataggi di marinai e naufraghi (anche Dante nell’ Inferno, XXII, 19-21 ricorda i delfini in tal senso), ma esso era considerato anche la guida per le anime nell’oltretomba, infatti gli Egizi lo ritenevano un compagno di Iside (protettrice dei defunti, dea della fecondità e della trasformazione), mentre i Cretesi pensavano che le anime dei morti si ritrovassero ai confini del mondo, nelle isole dei Beati e che fossero poi trasportati nell’oltretomba sul dorso di queste divinità. Che dire? Un trapasso da sogno! Per i Sumeri era il dio del mare. Possiamo affermare a questo punto che la venerazione per questo magnifico mammifero abbia avuto inizio agli albori delle antiche civiltà e più precisamente nella civiltà iperborea (leggendaria terra a nord della Grecia). Solo successivamente si diffuse sulle rive del Mar Nero, nella parte orientale del Mediterraneo fino in Italia, ma fu presso i Greci che il delfino ebbe un ruolo di primaria importanza a causa della somiglianza tra la parola “delphi” (delfino) e “delphy” (grembo) che lo fece divenire il simbolo della vita che si genera.
L’iconografia del delfino tramandataci dalla
cultura minoica e greco-arcaica vede la sua rappresentazione di fianco, inarcato
con le pinne taglienti ed il muso piegato a dare quasi l’accenno di un sorriso.
Due delfini volti nella medesima direzione simboleggiano l’equilibrio di due
forze uguali, mentre due delfini in posizioni opposte l’una all’altra
simboleggiano le due forze cosmiche contrarie.
Possiamo ritenere che il culto del delfino
assunse, in seguito, un carattere quasi mondiale poiché lo ritroviamo presente nelle
popolazioni Celtiche, le quali attribuivano ad esso virtù terapeutiche, nella
cultura indo-vedica, in quella delle popolazioni aborigene dell’Australia.
Proprio questi popoli attribuirebbero le loro origini ad una stirpe di
progenitori semidei che si sarebbero trasformati in delfini (da qui
l’appellativo di “popolo dei delfini”), i quali sarebbero poi tornati sulla terra
per insegnare agli uomini il linguaggio. I popoli dell’Artico attribuiscono a
balene e delfini la creazione del Mondo: si narra di una ragazza che respingeva
tutti i pretendenti che volevano sposarla, poi si innamorò di un cane e lo
sposò (dovevano essere proprio brutti quegli uomini!!). Irati, i suoi
pretendenti la catturarono e la misero su una barca spingendola in mare
(vendetta dell’orgoglio maschile ferito!). La poveretta, non essendo capace di
nuotare, si teneva salda stringendo i bordi della barca tra le mani, allora gli
uomini le tagliarono le dita cosicché cadde in acqua e morì. Dalla sua morte si
generò il regno marino popolato da delfini, balene, foche, trichechi e di questo
regno ne divenne la dea (grande rivincita della donna sugli uomini!). Gli
indiani dell’Amazzonia, invece, raccontano del misterioso delfino rosa del Rio
delle Amazzoni, il Casanova “de noi altri” diremmo in Toscana, che assume
sembianze umane per corteggiare e attirare nel mondo sommerso le ragazze che da
qui non fanno più ritorno.
Nella simbologia cristiana, il delfino è ritenuto essere il Salvatore che soccorre le anime, soprattutto nel momento della morte in cui Cristo trionfa su Satana. È stato rinvenuto a riguardo un anello, forse del III sec. d.C. appartenuto al vescovo Ademaro d’Angouleme sul quale è incisa la figura del delfino attorcigliato al tridente e tra le fauci la testa di una piovra simboleggiante il male.
Il delfino è un importante simbolo anche in
araldica: l’uso di questa figura si è affermato a partire dal XIII sec., ma è
stato rappresentato in modo non veritiero, mentre rimangono misteriose le
origini dell’appellativo di “delfino”, usato a partire dal XII sec. e attribuito
ai conti di Albon, (nella zona di Vienne), principi ereditari del regno di
Francia. Il titolo di “delfino” sembra derivare da un nome proprio.
Dopo questo lungo excursus tra le differenti
culture, andiamo adesso a raccontare quali storie lo vedono come protagonista.
Era uno
degli animali sacri ad Apollo del quale un giorno prese le sue sembianze per
dirottare una nave di mercanti cretesi verso Crisa, il porto dove sarebbe poi
sorto il tempio di Delfi (da delfino). Secondo il racconto di Omero, quei
marinai cretesi furono i primi custodi e sacerdoti del santuario.
Un’altra leggenda narra del dio Dioniso che chiese
ad alcuni pirati di portarlo da Argo a Nasso, ma essi lo legarono all’albero
della nave per venderlo come schiavo. Il dio allora, trasformò i remi in
serpenti così da spaventare i mercenari e farli tuffare in mare impauriti,
dopodiché li trasformò in delfini. Da allora essi sono amici degli uomini e
salvatori di naufraghi per espiare l’antica colpa. Quindi, cari lettori, se vi
trovate in acque frequentate da delfini, non abbiate paura, potreste avere
l’onore, se in pericolo, di essere salvati da uno di loro; occhio alla pinna
però, che non sia quella di uno squalo!
È proprio un delfino, invece, che salva Arione, noto musico greco abile suonatore di cetra e cantante, dall’essere ucciso per mano di alcuni marinai che volevano derubarlo delle sue ricchezze guadagnate con le sue arti, mentre tornava in patria. Per fortuna gli apparve Apollo in sogno avvertendolo del pericolo e promettendogli il suo aiuto. Così quando fu sul punto di essere aggredito ed ucciso dai marinai, espresse come ultimo desiderio di poter suonare la sua cetra e cantare. A quel suono meraviglioso accorsero alcuni delfini e Arione, confidando nell’aiuto promesso, si tuffò in mare; uno dei delfini lo prese sul dorso e lo trasportò illeso fino a riva dove ringraziò il Dio e tornò nella sua Corinto. Poco dopo Apollo pose in cielo il delfino a ricordo di quell’evento.
Gli antichi greci consideravano un crimine trattenere nelle reti un delfino ed ancora più grave era ucciderlo, emanarono anche una legge con la quale chi si macchiava di un tale delitto, veniva severamente punito. Peccato questa legge oggi non sia più applicata, quantomeno con pene severe.
Tutto questo spiega anche le moltissime rappresentazioni di
questo animale su oggetti d’arte, monumenti, ma ci furono anche città che
vollero incidere il delfino sulle proprie monete: Argo, Sagunto, Messina,
Catania e Taranto. Proprio l’origine di quest’ultima (sulle cui monete è
rappresentato Taras sul dorso di un delfino) è legata a tale mammifero. La
leggenda fa risalire la nascita della città a circa duemila anni prima di
Cristo per volere di Taras, uno dei figli di Poseidone, che sarebbe giunto con
la sua flotta in questa terra attraverso un fiume che lui stesso nominò “Tara”.
Una notte gli apparve un delfino in sogno e, visto che era considerato di buon
auspicio, decise di edificarvi una città che fu chiamata Saturo, (in onore di
sua moglie Satureia). Nell’ VIII sec. a.C. approdarono qui i coloni greci
provenienti da Sparta e la conquistarono rifondandola con il nome di Taranto, ed
ebbe un grande culto per i delfini. Una variante di questa leggenda narra
invece che fu Arione a fondare la città di Taranto quando qui approdò per fare
fortuna con la sua cetra. A supporto di questa ipotesi vi sono numerose monete
del 480 d.C. dove è raffigurato un delfino cavalcato da un giovane uomo.
Ma adesso diamo un tocco femminile e sentimentale a questo articolo raccontandone la leggenda più romantica: quella che lo vede aiutante di Poseidone nella conquista della moglie Anfitrite.
Poseidone era fratello di Zeus e quando egli spodestò dal trono Crono, divise i tre regni della Terra con i suoi fratelli assegnando ad Ade gli Inferi, a Poseidone gli Abissi e tenendo per sé il Cielo. Ma gli Abissi erano già il regno di Nereo, chiamato anche “il vecchio del mare” poiché era stato il primo a governarlo e avrebbe voluto lasciarlo in eredità ad una delle sue cinquanta figlie dette “Nereidi” o “Oceanine” avute da sua moglie Teti. Spodestato Nereo, Poseidone si stabilì nel palazzo che si trovava sul fondale in corrispondenza della città di Ege, che dette il nome a quella parte del mar Mediterraneo compresa tra la Grecia e l’Asia minore. Ogni giorno Poseidone usciva dal suo palazzo di madreperla stando in piedi sul suo carro, i folti capelli blu come le onde, il tridente in mano e quattro cavalli dalle code di pesce che scalpitavano impazienti di attraversare quel paesaggio fatto da alghe verdi come tappeti e colonne rosse di coralli.
Un giorno, mentre Poseidone faceva ritorno al suo palazzo meraviglioso e prezioso nella sua architettura, ma gelido come poteva essere un cuore che non conosce amore, intravide tra le onde del mare una figura sinuosa che appariva e scompariva dai flutti, i capelli lunghi e corvini, la pelle dorata come il sole quando riflette i suoi raggi sul mare, nuotava con l’agilità di un pesce e si divertiva a giocare a nascondino con le altre creature del mare. Poseidone, arrestò il suo carro per rimanere ad osservare quella scena che destava in lui antichi sentimenti ormai dimenticati di quando anche lui, da piccolo, giocava spensierato tra le onde, rincorrendo cavallucci marini ed intrattenendosi in lunghe conversazioni con i delfini.
Rimase a lungo ad osservare quella fanciulla e più la guardava, più sentiva una strana sensazione di calore che andava a scaldare quel cuore che per la prima volta sentì battere forte. Da quel giorno, tornò più volte nello stesso punto con la speranza di rivedere quella ninfa che scoprì essere una Nereide, figlia di quel vecchio che anni prima aveva spodestato dal trono di quel regno fluttuante. Il Dio, comunque si fece coraggio e si avvicinò a lei dichiarando il suo amore, ma ella era una creatura libera come il vento che increspa le onde e poi, stanco, se ne va chissà dove a muovere altri mari e libera voleva rimanere. Così rifiutò i sentimenti del dio, il quale non si arrese e, ritenendo che qualsiasi essere vivente e non del suo regno gli appartenesse, pretendeva di averla in sposa. Tormentata dalle continue avance, decise di fuggire approfittando dell’oscurità della notte. Nuotò e nuotò per molte miglia verso nord, lasciandosi alle spalle le terre di Macedonia, Tracia...tanto che di lei non se ne seppe più nulla. Era arrivata nella terra degli Iperborei, dove la volta celeste si appoggiava sulle possenti spalle del titano Atlante. Sotto la sua protezione si rifugiò, solo le sue sorelle sapevano dove fosse. Per quanto riguarda Poseidone, in un primo momento non si preoccupò perché ritenne che la sua fosse una fuga di pochi giorni, ma poi molte albe e molti tramonti si susseguirono senza portare la minima notizia della bella ninfa. Così Poseidone, adirato, andò ad interrogare le Nereidi sul luogo dove si fosse rifugiata Anfitrite (questo il nome della ninfa di cui il dio si era follemente innamorato), ma loro, fingendo di non sapere nulla, si dissero preoccupate della scomparsa. Poseidone allora, con gli occhi rossi, accecato dalla collera, batté tre volte il tridente sul fondo del mare e lanciò il suo grido rabbioso contro Anfitrite minacciando che se non fosse tornata, sarebbe andato lui personalmente a prenderla. Non appena il tridente si conficcò nella sabbia del fondale, il mare cominciò ad agitarsi ed intorbidirsi trasportando ogni dove il suo avvertimento, certo che sarebbe giunto fino alla fine del mondo. Così il mare dell’Egeo cominciò a scurirsi divenendo nero come la pece ed onde giganti, finora mai viste, travolsero qualunque cosa incontrassero. L’ira del dio si poteva sentire ovunque, ma di Anfitrite nessuna traccia. Dopo giorni di tempeste la voce del mare si acquietò; allora l’amante respinto ordinò ai pesci di nuotare in ogni direzione alla ricerca della ninfa e di non tornare finché non l’avessero trovata.
Tra loro vi era anche un delfino, il quale osò spingersi fino a che l’acqua diventava una lastra di ghiaccio; sfidando il freddo artico giunse finalmente al luogo dove Anfitrite si era rifugiata. Quando finalmente il mammifero emerse dallo specchio d’acqua per poter di nuovo respirare, di fronte a lui uno spettacolo meraviglioso stava prendendo forma: la volta celeste tempestata da migliaia di stelle più luccicanti che mai in quella notte artica, il potente Atlante piegato su un ginocchio a sorreggere il firmamento, ai suoi piedi Anfitrite addormentata. Il delfino non volle svegliarla e rimase in contemplazione della sua bellezza finché di nuovo il sole riapparve a far brillare come un diamante quella distesa di ghiaccio, poi si mise a compiere salti e tuffi per attirare l’attenzione di lei che subito gli andò incontro. I due si guardarono negli occhi e lei seppe leggere nello sguardo malinconico di quello spettacolare animale, come in uno specchio, tutta la nostalgia per le sue sorelle e per quelle acque familiari dell’Egeo che erano la sua casa. Calde lacrime le solcarono il viso; allora il delfino con la sua dolcezza le parlo di Poseidone e di quanto fosse grande l’amore che provava per lei, di come avesse rivoltato l’Egeo per cercare di trovarla, devastato dal dolore per averla persa.
Anfitrite ascoltava con attenzione le parole dell’amico delfino e per la prima volta, vide il dio del mare sotto una nuova luce: non più la perfida figura che aveva anni prima spodestato il padre dal trono del mondo marino, ma un dio disperato. In quel momento provò amore nei suoi confronti e chiese al delfino di riportarla a casa. L’animale la fece sedere sul suo dorso e i due si diressero verso il palazzo di Poseidone, ma prima di giungere a destinazione, il delfino adagiò Anfitrite su una conchiglia rosata che spinse fino alle porte del palazzo; il dio avrebbe dovuto rivedere la sua amata nel pieno del suo splendore. Agitando le pinne e con il suono della sua voce, il delfino fece accorrere tutti: pesci, molluschi, anche le Nereidi arrivarono, mentre Poseidone stava aprendo le porte del palazzo. Alla vista di lei, tutto si fece silenzio e improvvisamente sembrava non esserci più nessuno intorno a loro, solo due cuori che stavano cominciando a parlare l’uno con l’altro, senza emettere alcun suono udibile, gli occhi di lei sprofondarono nel verde di quelli di lui e da quel momento due onde divennero una sola. Spero di avervi fatto rivivere per un momento quelle favole che ci leggevano per farci addormentare la sera quando eravamo bambini e, con la speranza che non vi siate addormentati sul serio, vi do appuntamento al prossimo articolo.
Silvia Fiumalbi
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