Ebbene sì, oggi quando si parla di fotografia si sottintende che ci si sta riferendo alla fotografia digitale, soprattutto quando a parlarne sono i più giovani che non hanno mai visto e tantomeno maneggiato quello strano oggetto che di nome fa “PELLICOLA”.
Eppure la fotografia digitale ha origini relativamente recenti. La prima reflex digitale (la DCS-100) venne infatti introdotta dalla Kodak nel 1991, ma aveva un costo decisamente elevato – circa 30.000 dollari americani - ed era principalmente destinata al fotogiornalismo. Questa macchina era costruita sul corpo di una Nikon F3 al quale fu accoppiato un’unità di memorizzazione separata (DSU: Digital Storage Unit), che consentiva di immagazzinare e visualizzare le immagini appena scattate. Oggi è diventata un raro oggetto da collezionismo (Fig. 1).
Nel 2003 con
la Canon 300D il sistema Reflex digitale diventa più accessibile per tutti
scendendo sotto i 1.000 euro: la mia prima digitale fu infatti una Canon 60D
acquista con qualche sacrificio nel 2004, quando un corpo macchina adatto
all’astrofotografia superava comunque il costo di 1.500 Euro.
La produzione si è poi evoluta mettendo sul mercato negli anni successivi una infinita varietà di modelli sempre più versatili ed a prezzi sempre più contenuti: chi si è avvicinato al mondo della fotografia negli ultimi quindici anni possiamo tranquillamente dire che sia nato sotto il segno della costellazione della “Fotografia Digitale” (potremmo quasi quasi inventarla!), ignaro di quanto fosse immensamente più complicato ottenere e veicolare un’immagine nel mondo lontano e sconosciuto della pellicola! Se questa affermazione è già sacrosanta per la fotografia tradizionale, è ancora più pertinente e veritiera se la applichiamo alla fotografia astronomica!
Il sottoscritto è approdato sull’astronave Terra nel lontano 1959, si è appassionato di astronomia e di astrofotografia in giovane età e non volendo aspettare di compiere 45 anni per fare la sua prima fotografia del cielo con una fotocamera digitale, ha inevitabilmente dovuto confrontarsi con il mondo della pellicola e delle fotocamere tradizionali, cosiddette analogiche!
Chi ha
iniziato a riprendere foto astronomiche direttamente con il digitale, deve
sicuramente affrontare molte “problematiche” di post-produzione per rendere
ottimale l’immagine, ma non si rende assolutamente conto di quanti vantaggi fruisce
rispetto a chi doveva fotografare il cielo con una fotocamera analogica.
Ma dunque… di cosa stiamo parlando?
Il primo immenso vantaggio del digitale rispetto alla pellicola è che appena riprendiamo un’immagine la possiamo vedere sul display (Fig. 2): se il fuoco o l’esposizione non sono corretti, oppure se il campo inquadrato non è centrato sull’oggetto che vogliamo fotografare possiamo rettificare il tutto prima dell’integrazione successiva. E vi sembra poco?
Con la
digitale possiamo essere meno attenti a questi aspetti, proprio perché possiamo
intervenire subito: usando le fotocamere analogiche i tempi di posa andavano
stabiliti con la maggior precisione possibile a priori, così come la messa a
fuoco veniva fatta e verificata con molta accuratezza perchè se si operava
male, ce ne potevamo rendere conto solo dopo aver sviluppato (altro
termine sconosciuto ai “digitali”) la pellicola. Battute a parte, molto tempo
veniva dedicato a studiare il campo da inquadrare per riprendere oggetti che
non si potevano neppure intravvedere tramite il mirino, ovvero la stragrande
maggioranza. Non c’era infatti la possibilità di scattare immagini di prova per
vedere in che posizione era il nostro “target”: bisognava essere sicuri di
averlo inquadrato sulla base delle stelle di riferimento visibili. Se si
sbagliava mira, anche in questo caso lo avremmo scoperto solo dopo alcuni
giorni a sviluppo effettuato. Per gli esempi appena fatti, nessuno escluso …
tutto da rifare alla successiva sessione fotografica!
Vogliamo parlare dell’inseguimento durante una ripresa? Oggi anche il più sprovveduto dei nati sotto il segno della “Fotografia Digitale” dispone di una webcam / CCD che, debitamente montati sul telescopio di guida e collegati al PC, gli consente di guardarsi comodamente un film o una partita mentre questi apparati mantengono il telescopio sempre accuratamente puntato sull’oggetto target. Ai tempi dei pionieri, nel telescopio di guida si collocava un oculare dotato di reticolo illuminato, e una stella di riferimento (sempre ammesso di trovarne una abbastanza luminosa!) doveva essere mantenuta perfettamente al centro del reticolo agendo manualmente sui comandi che accelerano o rallentano il moto di inseguimento, controllando ogni volta di aver rimesso la stella proprio al posto giusto (Fig. 3) … sì, perché se dopo ore di lavoro di notte ti sbagliavi e correggevi dalla parte sbagliata la foto la potevi tranquillamente buttare! Credo proprio che i miei problemi alla vista ben più pronunciati nell’occhio destro, siano dovuti ad anni di questa pratica d’altri tempi!
Benissimo… ora che abbiamo ottenuto una bella immagine, la vogliamo inviare ad una rivista per la pubblicazione. Semplice oggi no? Una bella mail con delle belle parole di commento e le foto allegate. Eh no… nel 1992 le cose non funzionavano proprio così!
In quell’anno ho avuto la bellissima soddisfazione di portare a termine – insieme al compianto Vittorio Lovato – un lavoro di spettrografia effettuato con tanto di strumentazione autocostruita. Sottoposto alla storica rivista “L’Astronomia”, diventò il primo articolo di spettrografia amatoriale pubblicato! (Vedi il numero 121 / Maggio 1992 della rivista). Ebbene, i negativi originali degli spettri da pubblicare furono inviati per posta assicurata, e conservo tutt’ora la risposta – sempre per posta assicurata per la restituzione dei negativi ed a firma autografa – del mitico Corrado Lamberti, allora Direttore della rivista.
Se per il mondo digitale parlare di sensibilità (che oggi si può spingere a valori impensabili per le pellicole) è sempre pertinente, introdurre le problematiche che mettevano in relazione la sensibilità dell’emulsione con la grana risultante dell’immagine, per i “digitalisti” proprio non ha senso. Al massimo – in fase di ripresa – si provvede ad attivare la pulizia del rumore per le lunghe pose. Sappiamo benissimo che una sensibilità più elevata gioca a favore della ripresa di oggetti astronomici deboli come le galassie, nebulose e comete, ma quando si usavano le pellicole aumentare il valore degli ISO (o ASA che dir si voglia) aveva come effetto sgradevole ed inevitabile anche un considerevole aumento della grana dell’immagine che se spinto oltre i limiti dell’accettabile comprometteva la risoluzione dell’immagine stessa. Quindi oltre certi limiti non ci si poteva spingere, nonostante la Kodak avesse messo in commercio la pellicola per diapositive a colori Ektachrome P1600 con caratteristiche professionali e grana più fine di altre con pari sensibilità (con la quale fu scattata dall’Apollo 8 la celeberrima foto intitolata “Earthrise” e furono fatte le prime riprese sulla Luna da Neil Armstrong e Buzz Aldrin”), e la Scotch si fosse inventata – sempre in emulsione per diapositiva a colori - la Scotch/Chrome 800/3200P, pellicola sempre professionale che oltretutto consentiva di decidere a priori con quale sensibilità (compresa tra gli 800 e i 3200 ISO) esporre in fase di ripresa (Fig. 4). Sensibilità che – tanto per semplificare le cose – andava esplicitamente indicata quando si consegnava il rullino al fotografo affinchè la si trattasse con lo sviluppo adatto per gli ISO dichiarati. Nonostante tutto, nel mondo della pellicola il problema del rapporto tra sensibilità e grana era sempre ben presente e non eliminabile.
Parlando di diapositive, non voglio poi entrare nel merito degli improperi che venivano indirizzati all’indirizzo fotografo che ti restituiva i telaietti con dentro - ad esempio – la parte destra dell’immagine 5 con la parte sinistra della 6! Ovvero tutti i campi stellari tagliati in mezzo! Giustificazione classica: “Ma scusa… qui si vedono tutti puntini, come fanno in laboratorio a capire dove si deve tagliare la pellicola???” Notti e notti di lavoro buttati alle ortiche… no comment! Soluzione? Semplice: si chiedeva lo sviluppo in striscia continua, si compravano a parte i telaietti vuoti, e le diapositive le tagliavamo noi mettendole nei telaietti una per una … bel mondo vero “digitalisti”?
Ma se fosse finita qui non sarebbe nulla, perché le pellicole … tutte le pellicole tranne una … sono affette da quello che viene chiamato il difetto di reciprocità: in poche parole una pellicola opera con la sensibilità ISO nominale che c’è scritta sulla scatolina solo per il velocissimo tempo necessario per scattare un’istantanea, e nella migliore delle ipotesi per qualche secondo. Ma dopo qualche secondo di esposizione la pellicola comincia a diventare via via sempre meno sensibile finchè durante le lunghe pose necessarie per immortalare gli oggetti deboli, diventa praticamente inutile continuare ad esporre per quanto si è abbassata la sensibilità ISO.
Ed ecco che in questo caso ci venne in aiuto una pellicola per allora davvero rivoluzionaria: la KODAK 2415 Ipersensibilizzata in Forming Gas, ovvero una miscela di idrogeno ed azoto. Per la cronaca, riuscivo a reperire questo oggetto di culto presso lo storico rivenditore Auriga, mentre alcuni astrofili si erano addirittura costruiti l’apparecchiatura per effettuare il trattamento di sensibilizzazione (definito cottura o arrostimento) alla Kodak 2415 (Fig. 5) che – tanto per capirci – era una pellicola in bianco e nero caratterizzata da una sensibilità molto bassa (indicativamente 50 / 100 ASA) e quindi da una grana finissima, adatta quindi a mantenere la massima risoluzione di dettagli nelle immagini astronomiche.
Qualcuno starà già pensando: bene la grana così fine
… ma con una sensibilità così bassa come si fa? La risposta sta proprio nel
trattamento che rendeva la pellicola praticamente esente dal difetto di
reciprocità! Per tempi di posa brevi una pellicola da 1600 ASA aveva una resa
decisamente superiore, ma proseguendo con l’esposizione la pellicola da 1600
ASA perdeva la sua efficiacia mentre la Kodak 2415 Hypered continuava a
lavorare mantenendo inalterata la propria la sensibilità di 50/100 ASA. Quindi
sulle lunghe pose non c’era assolutamente gara a favore di quest’ultima che
oltretutto forniva immagini con una grana finissima! Tutto risolto dunque…
salvo prendere nota di alcune caratteristiche di questa splendida PELLICOLA
DA 36 POSE, che aveva oltretutto un costo decisamente superiore alle altre:
1) appena arrivava in un particolare imballo (o appena fatto
il trattamento) bisognava immediatamente metterla nel congelatore;
2) bisognava toglierla dal congelatore appena prima di
esporla;
3) quando arrivavi a casa dopo una nottata di lavoro al
telescopio, non andavi a dormire perché la 2415 non potevi lasciarla lì ad
aspettare che tu ti riposassi… si deteriorava mentre tu dormivi! E quindi
dovevi svilupparla subito! Nota: non esistevano fotografi in grado di
svilupparla, ma oltretutto … ti saresti fidato???
… e qui ritorno
alle prime considerazioni: immaginatevi se dopo tutto ciò scopri che le foto
non sono a fuoco bene, o la posa è sbagliata … o l’oggetto non l’hai neanche
centrato…
Ma a questo punto arriva la parte più divertente: avrete notato che ho scritto in grassetto la dicitura PELLICOLA DA 36 POSE: e sì… perché vorrei capire come si fa ad usare in una sola notte un’emulsione da 36 scatti, quando è stata preparata affinchè ogni integrazione abbia la durata di almeno un’ora, quando non si arrivava addirittura a due! Dunque l’astrofilo pioniere deve nuovamente aguzzare l’ingegno e trovare una soluzione fatta in casa!
Nel mio caso proprio fatta in casa, anzi per essere più precisi in camera da letto!
Dopo aver
fatto non vi dico quante prove, prima con la luce e poi nel buio più assoluto,
ecco cosa mi organizzavo prima di un uscita con il telescopio:
1)
mi procuravo il rullino di una pellicola già usata (senza
la pellicola quindi) e lo aprivo applicando già il nastro isolante che avrebbe
tenuto in posizione una nuova emulsione;
2)
prendevo la 2415 dal freezer, e con il rullino
“predisposto” di cui al punto precedente andavo in camera da letto sotto le
coperte, dopo aver chiuso la porta e spento la luce;
3)
lì sotto estraevo dalla 2415 lo spezzone di pellicola da
usare durante la notte (circa 7/8 fotogrammi), lo tagliavo e lo montavo sul
rullino vuoto che richiudevo accuratamente riavvolgendo la pellicola;
4)
a questo punto rimettevo subito in freezer la 2415 da
utilizzare la volta successiva, avendo pronto lo spezzone da 7/8 scatti da
usare nella nottata.
Fantascienza per chi oggi fa fotografia astronomica!
Ultime note: internet non esisteva e per le previsioni del tempo potevo “solo” affidarmi alle previsioni meteo del Colonnello Bernacca. Oggi una delle operazioni che usiamo fare per migliorare una foto digitale è quella di regolare luminosità, contrasto e saturazione: allora per ottimizzare un’immagine in bianco e nero ottenuta con la Kodak 2415 ipersensibilizzata, andavo in camera oscura a fare provini su provini finchè non ottenevo il risultato migliore.
Altri tempi davvero, ed anche altri risultati … sicuramente migliori quelli di oggi, ci mancherebbe! Sia ben chiaro, ora anch’io utilizzo la strumentazione che la tecnologia ci mette a disposizione, ma non sono nato sotto il segno della “Fotografia Digitale”, e quando sono in Osservatorio a Libbiano a lavorare con il nostro CCD, mi rendo conto di quanto tutto ciò sia più efficacie, più comodo e performante, e riesco davvero ad apprezzare la differenza.
Un po' di nostalgia però rimane, e se devo dire se oggi sia anche più bello … beh… non lo so!
Ecco qualche
immagine ripresa dal sottoscritto al tempo dei pionieri…
Alberto Villa
Di seguito anche foto di Francesco Biasci, un altro dei pionieri del passato analogico dell’astrofotografia!
Cometa Hale Bopp 1997.
Foto da cui è nata la mia passione per l’astrofotografia
Costellazione di Orione |
Startrail |
Cometa C72001 Q4 Neat
2004 vicino all’ammasso aperto M44 |
Luna con terminatore |
Francesco Biasci
Articolo interessantissimo, che ci riporta in un mondo che da un po' di anni è quasi completamente scomparso. Bello riflettere su pregi e difetti di tradizione e progresso: qualità, apprendimento, economicità, romanticismo, semplicità...
RispondiEliminaGrazie Lorenzo. In effetti si può sorridere, ma è davvero impressionante la differenza che c'è tra come si lavora oggi con il digitale e come si lavorava al tempo dei "pionieri"! Potete solo immaginare quanto vengano apprezzate - da chi ha lavorato "a quei tempi" - tutte le comodità che il digitale ci ha regalato. Ma un pò di nostalgia rimane.... buona lettura!
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