Bentornati astrofotografi,
eccoci di nuovo qui per continuare questo nostro viaggio nel mondo fantastico dell’astrofotografia. Alzando gli occhi al cielo stellato, non riusciamo a figurarci effettivamente com’è fatto l’universo, ammirarlo ci regala un senso di pace, di mistero certo, ma comunque un rifugio sicuro: il cielo stellato è sempre lo stesso, sempre li a darci conforto. In realtà l’universo, come abbiamo scoperto dopo anni e anni di osservazioni e misure, è un posto alquanto violento e mutevole, solo non per il tempo degli esseri umani. Se potessimo vedere a occhio nudo quello che ci restituisce la fotografia astronomica, forse non lo riterremmo più un porto sicuro, capiremmo quanto in realtà la nostra esistenza sia fragile in confronto a questo mondo immenso e caotico. Continueremmo ad ammirare gli oggetti che ci circondano, continueremmo a stupirci di fronte alla miriade di colori e strutture che esistono, ma secondo me inizieremmo anche a nutrire un forte senso di terrore. Vi ricorda qualcosa? Bellezza e terrore allo stesso tempo… la letteratura ci suggerisce un’interpretazione romantica (nel senso del romanticismo come corrente letteraria ovviamente!), in una parola: sublime. Dal latino sub “sotto” e limen “soglia”, “che giunge fin sotto la soglia più alta”. Il Treccani spiega così: “sentimento misto di terrore e piacere che deriva dalla vista di qualcosa di eccelso e spettacolare, capace di innalzare l’animo di chi lo guarda”. Sublime è qualcosa che turba e spaventa, ma proprio per questo attrae.
William Turner - Pescatori in mare |
E l’universo da sempre ci attrae con i suoi misteri, che soltanto da poco riusciamo a decifrare, anche e soprattutto attraverso le splendide immagini che ci arrivano da telescopi a terra e in orbita. Se nel romanticismo ciò che l’uomo usava per vedere e descrivere il sublime erano i propri occhi, oggi utilizziamo i telescopi. Ma se ciò che utilizzava per rappresentare questi momenti erano i propri strumenti da disegno e pittura, quali sono oggi gli “strumenti da disegno” degli astronomi?
Flavia Casini - B33 mono solo Ha |
In questo articolo del blog vi parleremo dei vari strumenti che possono essere utilizzati per catturare tutti gli aspetti del sublime del nostro universo. Cercheremo di spiegarvi quali sono più adatti per le varie situazioni che si presentano e allo stesso tempo cercheremo di fare chiarezza per un astrofotografo che vuole indirizzare la propria attenzione verso uno strumento piuttosto che un altro.
Per ogni categoria di cui parleremo ci sono varie possibilità, ovviamente, caratteristiche dovute anche alla marca e ai dati tecnici di ogni specifico modello. Qua vogliamo soltanto cercare di fare una distinzione, per quanto schematica, dei vari strumenti in base all’oggetto che vogliamo riprendere e alla modalità di ripresa con cui vogliamo operare.
CCD |
Iniziamo subito col dire che i sensori digitali più conosciuti e usati a oggi, i CCD (Charge Coupled Device o dispositivo ad accoppiamento di carica per i non anglofoni!) non sono ritenuti ad oggi la migliore scelta per chi vuole fare astrofotografia. Sono più adatti per l’astrometria e la fotometria. Alla fine si può fare tutto con ogni dispositivo, quindi se avete già un CCD e volete farci astrofotografia mi raccomando non lo buttate, va più che bene! Se poi vi verrà voglia di aumentare la qualità di ciò che state facendo sarete sempre in tempo a fare nuovi acquisti, o magari sarete già pienamente soddisfatti del livello che avrete raggiunto.
Saturno ripreso con Webcam |
Alcuni astrofotografi utilizzano anche delle semplici webcam per fare riprese, ma certamente questi strumenti non sono adatti alla fotografia del profondo cielo, possono invece essere utilizzati per fare fotografia ad alta risoluzione. Non è questo il luogo adatto a spiegarvi l’alta risoluzione, ma in breve consiste nel fare un filmato dell’oggetto che vogliamo riprendere e poi, tramite software, “dividere” questo filmato nei suoi singoli frame, che in pratica saranno visti dal programma come foto. A questo punto, dopo una obbligatoria selezione, vengono sommati per creare un’immagine che avrà una risoluzione molto maggiore rispetto ai frame iniziali. Questa modalità di ripresa si adatta più a fotografare la Luna e i pianeti del sistema solare, che sono molto luminosi, non certamente gli oggetti del profondo cielo o deep sky, come preferite.
Ultimamente, al posto dei CCD, stanno tornando alla ribalta i CMOS (Complementary Metal-Oxide Semiconductor o semiconduttore complementare a ossidi metallici), che erano stati messi un po’ in ombra dall’arrivo e dallo sviluppo dei primi. Le camere a CMOS possono ovviamente essere a colori o monocromatiche, per il deep sky sono sicuramente preferibili le monocromatiche, come già spiegato nel precedente articolo sui filtri a banda larga e a banda stretta, anche se ovviamente con le macchine a colori bastano 4-5 ore di ripresa per avere una resa in foto accettabile, mentre per le monocromatiche dobbiamo riprendere 4-5 ore per ogni canale che vogliamo utilizzare se lavoriamo a banda stretta. Il vantaggio però è che in fase di elaborazione, se abbiamo ripreso in più canali, avremo l’opportunità di interpretare (nei limiti del segnale acquisito) l’intensità, la tonalità e la distribuzione di ogni banda di emissione proveniente dal nostro oggetto, in pratica potremo essere il pittore che mescola i colori nella sua tavolozza, o il direttore d’orchestra che dirige i vari strumenti. La possibilità di interpretazione è alla base di ogni forma di arte, l’astrofotografia (quella non fatta per fini scientifici) non è da meno.
Flavia Casini - Medusa - ASI 533 a colori |
Flavia Casini - Medusa - ASI 2600 monocromatica |
Flavia Casini - Medusa - Tricromia con la monocromatica |
Camera planetaria |
Un altro oggetto che possiamo utilizzare che utilizza comunque un sensore CMOS è, invece, la camera planetaria.
Come dice il nome queste camere sono adatte alla ripresa di pianeti, oggetti già di per se luminosi, in quanto non possono essere raffreddate e quindi non possiamo scattare con una lunga esposizione, al massimo possiamo arrivare a un minuto. Come vi ho scritto all’inizio però non dobbiamo mai fermarci alle apparenze, ma provare e riprovare. I nostri astrofotografi ci insegnano che con una planetaria possiamo anche riprendere nebulose e galassie, certo le pose saranno brevi e di conseguenza riusciremo a riprendere solamente le zone più luminose di questi oggetti, non avremo mai tutta la risoluzione e il dettaglio di un sensore digitale raffreddato. Quello che possiamo fare è integrare le riprese della planetaria con quelle di un CMOS raffreddato, ad esempio se abbiamo ripreso il nucleo di una galassia potremmo integrarlo con le parti più deboli dei bracci esterni riprese con il sensore CMOS raffreddato. Addirittura potremmo avere dei risvolti positivi nel riprendere oggetti con una planetaria, in quanto fare esposizioni brevi ci permette di avere più dettaglio. Ma com’è possibile direte voi? In pratica, la posa breve elimina tutto il micro-mosso nella foto, dovuto a molteplici fattori, di conseguenza avremo le singole immagini più precise e dettagliate rispetto a una lunga esposizione. Quando parliamo di pose brevi, intendiamo veramente brevi, tipo 10-15 secondi di esposizione.
Mimmo Belli - Nebulosa del granchio M1 - ASI 224MC - 524 pose da 15 sec |
Ovviamente di contro dobbiamo dire che servono tantissime foto per riuscire a far venir fuori una quantità di segnale accettabile. Addirittura utilizzare un’autoguida in questi casi è deleterio, in quanto aggiungerebbe dei movimenti per riposizionare l’oggetto che andrebbero a integrare di nuovo quel micro-mosso che eravamo riusciti a togliere.
Francesco Biasci - ASI 178MC - Luna |
Francesco Biasci - ASI 178MC - Nebulosa Manubrio |
Francesco Biasci - ASI 178MC - NGC 4565 |
Fattore di crop |
Un ultima cosa da dire sulle planetarie è che di solito hanno sensori più piccoli che quindi ci danno un fattore di crop importante (rapporto tra la dimensione di un sensore full-frame e del sensore che abbiamo. In pratica i sensori più piccoli riprendono una parte più piccola di campo con il risultato che l’immagine sembrerà ingrandita. Sembra, perché in realtà è solo un “ritaglio” rispetto all’immagine ripresa con un full frame, non un ingrandimento) e quindi un ulteriore “ingrandimento” rispetto a quello del telescopio che utilizziamo.
Reflex digitale |
Infine, possiamo utilizzare una macchina Reflex, che in pratica possiamo considerare come una via di mezzo tra una camera planetaria e un CMOS raffreddato. Non può essere raffreddata e la Full Well Capacity non è altissima, ma in questo caso avremo un campo più grande rispetto ad una planetaria..
Di strumenti quindi ce ne sono molti e tutti diversi tra loro, come abbiamo potuto vedere insieme, adesso sta a voi capire quale si adatta maggiormente a voi. Ma soprattutto dovete scegliere in base a quale parte sublime del nostro universo volete rappresentare!
Al prossimo articolo!
Silvia Gingillo, Flavia Casini, Francesco Biasci e Mimmo Belli
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