Londra, 1801
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Thomas Young era un medico, che in quell’anno fu chiamato a insegnare filosofia naturale alla Royal Institution. Laureato anche in fisica, nello stesso periodo mise a punto un esperimento che sarebbe entrato nella storia.
Si prende una parete opaca sulla quale sono state praticate due fessure parallele e la si illumina da un lato. Dalla parte opposta si mette uno schermo dove osservare la luce che ha oltrepassato la parete attraverso le fenditure.
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A questo punto direte: “E a me che importa?” Importa perché, come abbiamo visto nell’articolo precedente, Newton pensava che la luce fosse composta da un’infinità di microscopiche particelle. Ovviamente c’era anche chi aveva idee diverse e in particolare Christiaan Huygens - grande scienziato olandese, contemporaneo di Newton e altrettanto famoso - riteneva che la luce fosse un’onda, anziché una particella. L’esperimento di Young fu fondamentale per capire chi dei due - più di un secolo prima - avesse avuto ragione, ma per interpretarne correttamente i risultati dobbiamo conoscere meglio un fenomeno fisico caratteristico delle onde: l’interferenza.
L’idea di base dell’interferenza è che quando due onde si incontrano semplicemente si sommano punto per punto l’una con l’altra. Per capire meglio cosa questo significhi, consideriamo due onde uguali (mi perdonino i più esperti per questa imprecisione), cioè con la stessa lunghezza d’onda e la stessa ampiezza. Se queste onde sono “in concordanza di fase” - cioè le creste e le gole di una si trovano rispettivamente in corrispondenza di quelle dell’altra - il risultato sarà un’onda con la stessa lunghezza delle due di partenza, ma un’ampiezza doppia: quando ho scritto “si sommano” mi riferivo appunto al sommarsi (letteralmente) delle ampiezze. Se invece sono “in opposizione di fase” - cioè le creste di una corrispondono alle gole dell’altra e viceversa - il risultato sarà… nessuna onda, perché le due iniziali si annulleranno a vicenda (in Toscana si dice che “poggi e buche fanno pari”! 😉). Ovviamente esisteranno anche tutti i casi intermedi, con le onde “sfasate”, ma non abbastanza da cancellarsi l’una con l’altra. In questo caso il risultato finale sarà un’onda con la stessa lunghezza e ampiezza intermedia fra zero e il doppio di quella iniziale.
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Torniamo allora all’esperimento di Young. La sorgente che illumina la parete è unica, quindi è abbastanza ovvio che la luce a valle della parete sia uguale per entrambe le fessure. Provate a questo punto a spiegare l’alternanza di strisce chiare e scure sullo schermo assumendo che la luce sia fatta di particelle: è impossibile! Risulta invece molto semplice spiegarlo assumendo che la luce sia fatta di onde, sfruttando proprio il fenomeno dell’interferenza: nei punti in cui le onde sono in concordanza di fase vediamo sullo schermo una zona illuminata, mentre vediamo una zona buia dove le onde sono in opposizione di fase.
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Quindi aveva ragione Huygens? Sì, ma questo non significa che Newton avesse torto! In effetti l’esperimento di Young aveva solo dimostrato che la luce si comporta come un’onda, ma questo non toglie che in alcuni casi possa comportarsi anche come una particella. Pensate per esempio alla riflessione: niente di più facile che vederla come una serie di “palline” che rimbalzano su uno specchio. In fisica questa situazione molto particolare è chiamata “dualismo onda-particella” e sta a significare che a seconda dei casi la luce può comportarsi in un modo oppure nell’altro (ma mai in entrambi contemporaneamente!). Sembra assurdo, eh? Invece è una questione fondamentale, che sarà studiata nel ‘900 dalla meccanica quantistica e… fidatevi: funziona! Per capire meglio possiamo immaginare questo dualismo come un cilindro invisibile, del quale possiamo guardare soltanto l’ombra: a seconda della nostra prospettiva osservativa saremo in grado di vedere un’ombra rettangolare oppure una circolare, ma la realtà è che entrambi i profili bidimensionali sono effettivamente caratteristici del cilindro tridimensionale.
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Abbiamo già visto negli articoli precedenti le proprietà della luce pensata come un’onda, vediamo adesso qualche caratteristica della sua natura particellare. Queste particelle vengono chiamate “quanti di luce” e - nel caso ve lo stiate chiedendo - sì, la parola “quanti” è proprio la stessa che compare in “meccanica quantistica” (ne riparleremo, non temete!). “Quanto” significa “indivisibile” e indica in questo caso la più piccola quantità di luce possibile. Un nome alternativo e probabilmente più noto di queste particelle di luce è “fotoni”. Una loro caratteristica molto particolare è quella di non avere massa, ma abbiamo già visto che la luce trasporta una certa energia: come può un oggetto senza massa avere energia? Per semplificare questa apparente contraddizione, di solito si usa esprimere l’energia del fotone tramite le sue proprietà ondulatorie: E=hν, dove ν (la lettera greca “ni”) indica la frequenza di oscillazione e h è la costante di Planck.
https://martinacicchella.wordpress.com/2012/12/08/una-natura-discontinua/ |
Concludiamo osservando che l’esperimento di Young ha avuto un’importanza tale da essere poi ripetuto più volte a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, con il nome di “esperimento della doppia fenditura”. Utilizzando strumenti via via più tecnologicamente avanzati e varie particelle diverse dai fotoni, questi esperimenti hanno portato a scoperte importantissime nel mondo della fisica quantistica. Cito fra gli altri l’esperimento con gli elettroni condotto a Bologna nel 1974 e ripetuto in Giappone nel 1989, che ha mostrato il dualismo onda-particella anche per particelle che prima delle teorie quantistiche erano sempre state considerate esclusivamente materiali.
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Ci
risentiamo al prossimo articolo: vi apettRo!
Lorenzo
Bigazzi
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